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Corte cost. 164/2017 ricorda le sentenze CGUE su responsabilità dello Stato giudice

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Corte cost. 164/2017, al punto 5.2 del "considerato in diritto", richiama la giurisprudenza della Corte di giustizia sulla responsabilità dello Stato giudice per violazione del diritto dell'Unione.

LEGGI DI SEGUITO IL PUNTO 5.2 DEL "CONSIDERATO IN DIRITTO" ...

5.2.– Movendo dal preliminare riferimento del giudice a quo alle decisioni della Corte di giustizia dell’Unione europea, va rammentato come un forte stimolo alla riforma operata dalla legge n. 18 del 2015 sia venuto proprio dai principi affermati dalla Corte di Lussemburgo, riguardo all’obbligo degli Stati membri di riparare i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto comunitario (ora, dell’Unione europea) commesse da organi giurisdizionali nazionali (anche di ultimo grado): principi con i quali alcune delle limitazioni previste dalla legge n. 117 del 1988 sono state ritenute incompatibili (Corte di giustizia, grande sezione, sentenza 13 giugno 2006, in causa C-173/03, Traghetti del Mediterraneo spa), tanto da dar luogo all’apertura di una procedura di infrazione, decisa in senso sfavorevole per il nostro Paese (Corte di giustizia, sentenza 24 novembre 2011, in causa C-379/10, Commissione europea contro Repubblica italiana).

Nel contesto di tali principi, assumono qui rilievo, in particolare, quelli relativi alla “giustiziabilità” della pretesa risarcitoria del danneggiato.

La Corte di Giustizia, a partire dalla nota pronuncia Köbler (sentenza 30 settembre 2003, in causa C-224/01, Gerhard Köbler), ebbe infatti a statuire che «[…] è nell’ambito delle norme del diritto nazionale relative alla responsabilità che lo Stato è tenuto a riparare le conseguenze del danno provocato, fermo restando che le condizioni stabilite dalle legislazioni nazionali in materia di risarcimento dei danni non possono essere meno favorevoli di quelle che riguardano reclami analoghi di natura interna e non possono essere congegnate in modo da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento».

In tale affermazione – ribadita dai costanti arresti successivi (ex multis, Corte di giustizia dell’Unione europea, grande sezione, sentenza 13 marzo 2007, in causa C-524/04, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation; Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza 25 novembre 2010, in causa C-429/09, Günter Fuß; Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza 9 settembre 2015, in causa C-160/14, João Filipe Ferreira da Silva e Brito e altri) – risultano compendiati tanto il «principio di equivalenza» quanto il «principio di effettività», i quali così assurgono a cardini necessari di ogni diritto nazionale in tema di responsabilità dello Stato per le conseguenze del danno provocato da provvedimenti giurisdizionali adottati in violazione del diritto europeo.

Il «principio di equivalenza» − secondo denominazione propria ed originale della Corte di giustizia – postula che le condizioni stabilite dalle legislazioni nazionali in materia di risarcimento dei danni nei confronti dello Stato, per la responsabilità civile in esito alla violazione del diritto europeo per mezzo di provvedimento giurisdizionale, non possono essere «meno favorevoli» di quelle riguardanti analoghi reclami di natura interna, vale a dire delle altre “normali” azioni risarcitorie esercitabili dai cittadini nei confronti dello Stato in altre e diverse materie.

Il «principio di effettività» esige, poi, che i meccanismi procedurali del diritto nazionale non siano congegnati in modo da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento.

 

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