da www.dirittodelleprofessioni.it
Leggi qui il testo dell'articolo del decreto di ferragosto 2011 sulla (in realtà, mancata) liberalizzazione delle professioni. E' l'art. 3 del decreto legge n. 138 del 13/8/11, intitolato "Abrogazione delle indebite restrizioni all'accesso e all'esercizio delle professioni e delle attività economiche".
Il decreto legge n. 138 del 13 agosto 2011, recante "Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo" è stato pubblicato sulla gazzetta ufficiale n. 188 del 13 agosto 2011. HA DELUSO LE ATTESE DELLA VIGILIA IN TEMA DI LIBERALIZZAZIONE DELLE PROFESSIONI.
Il ministro Tremonti aveva detto in Parlamento l'11 agosto: "Dobbiamo e possiamo intervenire con forza su liberalizzazioni, servizi pubblici e professioni". Cosa poi è stato deciso col "decreto legge di ferragosto"? Alcuni speravano che fosse decisa la soppressione dell'esame di Stato per tutte le professioni o per una serie ampia di professioni. In sostanza si sperava, dai liberisti di destra e di sinistra, che il momento di grave difficoltà dell'Italia desse la forza alla Politica (con la P maiuscola) di svincolarsi dalle lobbies professionali, benissimo rappresentate in Parlamento. Si sperava addirittura che si decidesse che per accedere a tutte le professioni, invece che l'esame di Stato, fossero ritenuti sufficienti "tirocini formativi" o "praticantato". Così tanto non era previsto nemmeno nella bozza che era stata predisposta per il Consiglio dei Ministri. In questa, però, non c'era poco: la bozza di decreto legge più avanzata era in grado di mettere le basi, anzi, per una definitiva apertura del mercato delle professioni, come richiestoci dai mercati, dicono in molti, e come ci richiede da 60 anni la Costituzione senza che nessuno se ne sia accorto, mi permetto di aggiungere. In sintesi, direi, era roba seria, forse sarebbe stata "la volta buona", una vera e propria tempesta perfetta sulle professioni (molto più sostanziosa delle "lenzuolate" di Bersani, il quale però, a onor del vero, non poteva fare di più).
Cosa c'era nella "bozza di decreto legge di ferragosto" in tema di liberalizzazione delle professioni e cosa è stato invece deciso dal Governo?
c'era 1) l'abolizione dell'esame di stato solo per i commercialisti e gli esperti contabili;
c'era 2) la possibilità di una carriera alternativa per quanti non superino l'esame di stato da avvocato. Il praticante avvocato avrebbe potuto essere abilitato al patrocinio nelle "cause minori" dopo sei mesi (oggi può esserlo dopo un anno) e non avrebbe avuto più sulla testa la spada di Damocle del superamento dell'esame da avvocato entro sei anni: avrebbe potuto esercitare "a vita" come una sorta di legale junior;
c'era 3) la possibilità per tutti i professionisti di farsi pubblicità, anche nella forma di pubblicità comparativa. Tutti i professionisti sarebbero stati assoggettati alle regole sulla pubblicità stabilite nel codice del consumo. Gli Ordini professionali non avrebbero potuto più obiettare che la pubblicità viola strani concetti quali il decoro o la dignità della professione; gli Ordini, però, sarebbero potuti intervenire a sanzionare il professionista per ragioni attinenti al buon costume, veridicità, continenza e trasparenza dei messaggi pubblicitari;
c'era 4) la possibilità di costituire società di capitali per l'esercizio di una o più professioni (ma sarebbe dovuto essere sempre un iscritto all'albo a rendere la prestazione professionale). Era previsto che nella società di capitali il capitale di maggioranza potesse essere apportato anche da non professionisti;
c'era 5) la possibilità per il profesionista di essere socio di più società ad oggetto professionale e di intraprendere qualsiasi altra attività imprenditoriale. Per gli avvocati sarebbe scomparso il divieto di esercitare attività commerciali e di fare il giornalista professionista. Per i commercialisti sarebbe scomparso il divieto di esercitare attività di impresa e di fare il giornalista professionista;
c'era 6) la possibilità di svolgere assieme sia l'attività di professionista sia l'attività di impresa e quella commerciale (ma non quella di lavoratore dipendente, nemmeno a part time, nè pubblico nè privato);
c'era 7) la possibilità di derogare alle tariffe minime per tutte le professioni, in accordo col cliente. Gli Ordini avrebbero perso il controllo di conformità delle parcelle e non avrebbero più deciso sulla corrispondenza del compenso richiesto dal professionista al decoro della professione e all'importanza dell'opera;
c'era 8) l'obbligo, per il fornitore di servizi professionali, di impegnarsi per iscritto fin dall'inizio col cliente. Il professionista avrebbe dovuto spiegare al cliente tempi, modi e costi della sua prestazione professionale. Inoltre avrebbe dovuto subito informare il cliente se, nel corso dell'esecuzione della sua attività professionale, si fossero verificati eventi capaci di incidere sulla determinazione del compenso concordato;
c'era 9) l'obbligo per il professionista di assicurarsi per danni al cliente da colpa professionale;
c'era 10) la riduzione del periodo di praticantato per tutte le professioni. La pratica professionale richiesta per accedere all'esame di stato sarebbe potuta essere, al massimo, di un anno e si sarebbe potuta svolgere anche dallo studente universitario (che avesse superato almeno due terzi degli esami universitari). Costui avrebbe potuto sostenere l'esame di stato nell'Università ove ha svolto la pratica;
c'era 11) l'obbligo per il professionista di attribuire al praticante un equo compenso;
c'era 12) l'ulteriore liberalizzazione delle professioni non ordinistiche sulla base dei divieti di restrizione;
c'era 13) la cancellazione dell'obbligo del professionista di versare alla propria Cassa professionale un contributo minimo obbligatorio.
POTEVA ESSERE, FINALMENTE, UNA LIBERALIZZAZIONE VERA, CHE ANDASSE NELLA DIREZIONE DEL SUPERAMENTO DEL CORPORATIVISMO DELLE PROFESSIONI (IL QUALE NON E' AFFATTO CADUTO ASSIEME AL REGIME FASCISTA). CERTO ERA UNA LIBERALIZZAZIONE NON ANCORA SUFFICIENTE PERCHE': 1) CON L'ECCEZIONE DELLA PROFESSIONE DI COMMERCIALISTA, SI CONFERMAVA LA GENERALE NECESSITA' DELL'ESAME DI STATO PER ACCEDERE ALLE PROFESSIONI; 2) NON CANCELLAVA LA NATURA DI "ENTI PUBBLICI NON ECONOMICI" DEGLI ORDINI PROFESSIONALI, COSA CHE NE CONTINUA A LEGITTIMARE ADDIRITTURA LA QUALIFICA DI GIUDICI SPECIALI (si veda il caso del Consiglio Nazionale Forense). COMUNQUE LA LIBERALIZZAZIONE E' SALTATA DI NUOVO, ESSENDO STATE ADOTTATE DAL GOVERNO MISURE MOLTO, MOLTO "ANNACQUATE" RISPETTO AQUELLE DI CUI SOPRA. SPERIAMO CHE IL PARLAMENTO, IN SEDE DI CONVERSIONE IN LEGGE DEL DECRETO DI FERRAGOSTO, CAMBI INDIRIZZO IN DIREZIONE PIU' LIBERALE E, IN PRIMO LUOGO, REVOCHI A TUTTI GLI ORDINI PROFESSIONALI LA QUALIFICA DI "ENTI PUBBLICI NON ECONOMICI": SI PUO' ARRIVARE FINO AI NOTAI.
ECCO QUEL CHE, INVECE, SI LEGGE IN TEMA DI (PSEUDO) LIBERALIZZAZIONE DELLE PROFESSIONI ALL'ART. 3 DEL DECRETO LEGGE 138 DEL 13 AGOSTO 2011 (PUBBLICATO SULLA GAZZETTA UFFICIALE N. 188 DEL 13 AGOSTO 2011):
"Art. 3
Abrogazione delle indebite restrizioni all’accesso e all’esercizio delle professioni e delle attivita’ economiche.
1. In attesa della revisione dell’articolo 41 della Costituzione, Comuni, Province, Regioni e Stato, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, adeguano i rispettivi ordinamenti al principio secondo cui l’iniziativa e l’attivita’ economica privata sono libere ed e’ permesso tutto cio’ che non e’ espressamente vietato dalla legge nei soli casi di:
a) vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali;
b) contrasto con i principi fondamentali della Costituzione;
c) danno alla sicurezza, alla liberta’, alla dignita’ umana econtrasto con l’utilita’ sociale;
d) disposizioni indispensabili per la protezione della salute umana, la conservazione delle specie animali e vegetali, dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio culturale;
e) disposizioni che comportano effetti sulla finanza pubblica.
2. Il comma 1 costituisce principio fondamentale per lo sviluppo economico e attua la piena tutela della concorrenza tra le imprese.
3. Sono in ogni caso soppresse, alla scadenza del termine di cui al comma 1, le disposizioni normative statali incompatibili con quanto disposto nel medesimo comma, con conseguente diretta applicazione degli istituti della segnalazione di inizio di attivita’ e dell’autocertificazione con controlli successivi. Nelle more della decorrenza del predetto termine, l’adeguamento al principio di cui al comma 1 puo’ avvenire anche attraverso gli strumenti vigenti di semplificazione normativa.
4. L’adeguamento di Comuni, Province e Regioni all’obbligo di cui al comma 1 costituisce elemento di valutazione della virtuosita’ dei predetti enti ai sensi dell’art. 20, comma 3, del decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.
5. Fermo restando l’esame di Stato di cui all’art. 33 comma 5 della Costituzione per l’accesso alle professioni regolamentate, gli ordinamenti professionali devono garantire che l’esercizio dell’attivita’ risponda senza eccezioni ai principi di libera concorrenza, alla presenza diffusa dei professionisti su tutto il territorio nazionale, alla differenziazione e pluralita’ di offerta che garantisca l’effettiva possibilita’ di scelta degli utenti nell’ambito della piu’ ampia informazione relativamente ai servizi offerti. Gli ordinamenti professionali dovranno essere riformati entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto per recepire i seguenti principi:
a) l’accesso alla professione e’ libero e il suo esercizio e’ fondato e ordinato sull’autonomia e sull’indipendenza di giudizio, intellettuale e tecnica, del professionista. La limitazione, in forza di una disposizione di legge, del numero di persone che sono titolate ad esercitare una certa professione in tutto il territorio dello Stato o in una certa area geografica, e’ consentita unicamente laddove essa risponda a ragioni di interesse pubblico e non introduca una discriminazione diretta o indiretta basata sulla nazionalita’ o, in caso di esercizio dell’attivita’ in forma societaria, della sede legale della societa’ professionale;
b) previsione dell’obbligo per il professionista di seguire percorsi di formazione continua permanente predisposti sulla base di appositi regolamenti emanati dai consigli nazionali, fermo restando quanto previsto dalla normativa vigente in materia di educazione continua in medicina (ECM). La violazione dell’obbligo di formazione continua determina un illecito disciplinare e come tale e’ sanzionato sulla base di quanto stabilito dall’ordinamento professionale che dovra’ integrare tale previsione;
c) la disciplina del tirocinio per l’accesso alla professione deve conformarsi a criteri che garantiscano l’effettivo svolgimento dell’attivita’ formativa e il suo adeguamento costante all’esigenza di assicurare il miglior esercizio della professione. Al tirocinante dovra’ essere corrisposto un equo compenso di natura indennitaria, commisurato al suo concreto apporto. Al fine di accelerare l’accesso al mondo del lavoro, la durata del tirocinio non potra’ essere complessivamente superiore a tre anni e potra’ essere svolto, in presenza di una apposita convenzione quadro stipulata fra i Consigli Nazionali e il Ministero dell’Istruzione, Universita’ e Ricerca, in concomitanza al corso di studio per il conseguimento della laurea di primo livello o della laurea magistrale o specialistica. Le disposizioni della presente lettera non si applicano alle professioni sanitarie per le quali resta confermata la normativa vigente;
d) il compenso spettante al professionista e’ pattuito per iscritto all’atto del conferimento dell’incarico professionale prendendo come riferimento le tariffe professionali. E’ ammessa la pattuizione dei compensi anche in deroga alle tariffe. Il professionista e’ tenuto, nel rispetto del principio di trasparenza, a rendere noto al cliente il livello della complessita’ dell’incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento alla conclusione dell’incarico. In caso di mancata determinazione consensuale del compenso, quando il committente e’ un ente pubblico, in caso di liquidazione giudiziale dei compensi, ovvero nei casi in cui la prestazione professionale e’ resa nell’interesse dei terzi si applicano le tariffe professionali stabilite con decreto dal Ministro della Giustizia;
e) a tutela del cliente, il professionista e’ tenuto a stipulare idonea assicurazione per i rischi derivanti dall’esercizio dell’attivita’ professionale. Il professionista deve rendere noti al cliente, al momento dell’assunzione dell’incarico, gli estremi della polizza stipulata per la responsabilita’ professionale e il relativo massimale. Le condizioni generali delle polizze assicurative di cui al presente comma possono essere negoziate, in convenzione con i propri iscritti, dai Consigli Nazionali e dagli enti previdenziali dei professionisti;
f) gli ordinamenti professionali dovranno prevedere l’istituzione di organi a livello territoriale, diversi da quelli aventi funzioni amministrative, ai quali sono specificamente affidate l’istruzione e la decisione delle questioni disciplinari e di un organo nazionale di disciplina. La carica di consigliere dell’Ordine territoriale o di consigliere nazionale e’ incompatibile con quella di membro dei consigli di disciplina nazionali e territoriali. Le disposizioni della presente lettera non si applicano alle professioni sanitarie per le quali resta confermata la normativa vigente;
g) la pubblicita’ informativa, con ogni mezzo, avente ad oggetto l’attivita’ professionale, le specializzazioni ed i titoli professionali posseduti, la struttura dello studio ed i compensi delle prestazioni, e’ libera. Le informazioni devono essere trasparenti, veritiere, corrette e non devono essere equivoche, ingannevoli, denigratorie.
6. Fermo quanto previsto dal comma 5 per le professioni, l’accesso alle attivita’ economiche e il loro esercizio si basano sul principio di liberta’ di impresa.
7. Le disposizioni vigenti che regolano l’accesso e l’esercizio delle attivita’ economiche devono garantire il principio di liberta’ di impresa e di garanzia della concorrenza. Le disposizioni relative all’introduzione di restrizioni all’accesso e all’esercizio delle attivita’ economiche devono essere oggetto di interpretazione restrittiva.
8. Le restrizioni in materia di accesso ed esercizio delle attivita’ economiche previste dall’ordinamento vigente sono abrogate quattro mesi dopo l’entrata in vigore del presente decreto.
9. Il termine “restrizione”, ai sensi del comma 8, comprende:
a) la limitazione, in forza di una disposizione di legge, del numero di persone che sono titolate ad esercitare una attivita’ economica in tutto il territorio dello Stato o in una certa area geografica attraverso la concessione di licenze o autorizzazioni amministrative per l’esercizio, senza che tale numero sia determinato, direttamente o indirettamente sulla base della popolazione o di altri criteri di fabbisogno;
b) l’attribuzione di licenze o autorizzazioni all’esercizio di una attivita’ economica solo dove ce ne sia bisogno secondo l’autorita’ amministrativa; si considera che questo avvenga quando l’offerta di servizi da parte di persone che hanno gia’ licenze o autorizzazioni per l’esercizio di una attivita’ economica non soddisfa la domanda da parte di tutta la societa’ con riferimento all’intero territorio nazionale o ad una certa area geografica;
c) il divieto di esercizio di una attivita’ economica al di fuori di una certa area geografica e l’abilitazione a esercitarla solo all’interno di una determinata area;
d) l’imposizione di distanze minime tra le localizzazioni delle sedi deputate all’esercizio della professione o di una attivita’ economica;
e) il divieto di esercizio di una attivita’ economica in piu’ sedi oppure in una o piu’ aree geografiche;
f) la limitazione dell’esercizio di una attivita’ economica ad alcune categorie o divieto, nei confronti di alcune categorie, di commercializzazione di taluni prodotti;
g) la limitazione dell’esercizio di una attivita’ economic attraverso l’indicazione tassativa della forma giuridica richiesta all’operatore;
h) l’imposizione di prezzi minimi o commissioni per la fornitura di beni o servizi, indipendentemente dalla determinazione, diretta o indiretta, mediante l’applicazione di un coefficiente di profitto o di altro calcolo su base percentuale;
l) l’obbligo di fornitura di specifici servizi complementari all’attivita’ svolta.
10. Le restrizioni diverse da quelle elencate nel comma 9 precedente possono essere revocate con regolamento da emanare ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, emanato su proposta del Ministro competente entro quattro mesi dall’entrata in vigore del presente decreto.
11. Singole attivita’ economiche possono essere escluse, in tutto o in parte, dall’abrogazione delle restrizioni disposta ai sensi del comma 8; in tal caso, la suddetta esclusione, riferita alle limitazioni previste dal comma 9, puo’ essere concessa, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro competente di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita l’Autorita’ per la concorrenza ed il mercato, entro quattro mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, qualora:
a) la limitazione sia funzionale a ragioni di interesse pubblico;
b) la restrizione rappresenti un mezzo idoneo, indispensabile e, dal punto di vista del grado di interferenza nella liberta’ economica, ragionevolmente proporzionato all’interesse pubblico cui e’ destinata;
c) la restrizione non introduca una discriminazione diretta o indiretta basata sulla nazionalita’ o, nel caso di societa’, sulla sede legale dell’impresa.
12. All’articolo 307, comma 10, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, recante il codice dell’ordinamento militare sostituire la lettera d) con la seguente:
“d) i proventi monetari derivanti dalle procedure di cui alla lettera a), sono destinati, previa verifica da parte del Ministero dell’economia e delle finanze della compatibilita’ finanziaria con gli equilibri di finanza pubblica, con particolare riferimento al rispetto del conseguimento, da parte dell’Italia, dell’indebitamento netto strutturale concordato in sede di programma di stabilita’ e crescita, al Ministero della difesa, mediante riassegnazione in deroga ai limiti previsti per le riassegnazioni agli stati di previsione dei Ministeri, previo versamento all’entrata del bilancio dello Stato, per confluire nei fondi di cui all’articolo 619, per le spese di riallocazione di funzioni, ivi incluse quelle relative agli eventuali trasferimenti di personale, e per la razionalizzazione del settore infrastrutturale della difesa, nonche’, fino alla misura del 10 per cento, nel fondo casa di cui all’articolo 1836, previa deduzione di una quota parte corrispondente al valore di libro degli immobili alienati e una quota compresa tra il 5 e il 10 per cento che puo’ essere destinata agli enti territoriali interessati, in relazione alla complessita’ e ai tempi dell’eventuale valorizzazione.
Alla ripartizione delle quote si provvede con decreti del Ministro della difesa, da comunicare, anche con mezzi di evidenza informatica, al Ministero dell’economia e delle finanze; in caso di verifica negativa della compatibilita’ finanziaria con gli equilibri di finanza pubblica, i proventi di cui alla presente lettera sono riassegnati al fondo ammortamento dei titoli di Stato”.
Nell'articolo (vedilo su www.avvocati-part-time.it ) intitolato "Limiti a libertà di fare l'avvocato:TAR Lazio 5151/11 - principi fondamentali, leggine, regolamenti" ho riportato la sentenza del TAR Lazio n. 5151 del 9 giugno 2001, che dichiara nullo il regolamento del Consiglio Nazionale Forense sulle specializzazioni degli avvocati. Ho evidenziato che in quella sentenza il TAR ha fatto una importante ricognizione dei principi fondamentali che devono regolare l'ammissione all'esercizio della professione forense, quale professione intellettuale al pari delle altre riconosciute dal nostro ordinamento. In particolare il TAR ha chiarito che la gerarchia delle fonti, già oggi e a prescindere da future modifiche dell'art. 41 della Costituzione, non pone limiti solo al Consiglio Nazionale Forense nell'adozione di regolamenti ma pone limiti anche al legislatore che si accinge a riformare con legge ordinaria l'ordinamento della professione d'avvocato (o, come è ormai più corretto dire, il servizio professionale di avvocato). Si legge nella sentenza n. 5151/2011 del TAR Lazio:
"4. Ai sensi del terzo comma dell’art. 117 Cost., come sostituito dall'art. 3 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, la materia delle professioni appartiene alla legislazione concorrente dello Stato e delle Regioni. Con legge 5 giugno 2003, n. 131, sono state dettate disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento alla predetta legge costituzionale n. 3 del 2001. L’art. 1 della ridetta legge 131/2003, ribadito al comma 3 che nelle materie appartenenti alla legislazione concorrente, le Regioni esercitano la potestà legislativa nell'àmbito dei princìpi fondamentali espressamente determinati dallo Stato o, in difetto, quali desumibili dalle leggi statali vigenti, ha delegato al comma 4, il Governo ad adottare, entro tre anni dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi ricognitivi dei princìpi fondamentali che si traggono dalle leggi vigenti, nelle materie previste dall'articolo 117, terzo comma, Cost.. La ricognizione dei princìpi fondamentali in materia di professioni è intervenuta con d. lgs. 2 febbraio 2006, n. 30. In tale ambito, chiarito dall’art. 3, titolato “Tutela della concorrenza e del mercato”, che l’esercizio della professione si svolge nel rispetto della disciplina statale della tutela della concorrenza, ivi compresa quella delle deroghe consentite dal diritto comunitario a tutela di interessi pubblici costituzionalmente garantiti o per ragioni imperative di interesse generale, della riserva di attività professionale, delle tariffe e dei corrispettivi professionali, nonché della pubblicità professionale (comma 1), recita l’art. 4, comma 2, che <<La legge statale definisce i requisiti tecnico-professionali e i titoli professionali necessari per l'esercizio delle attività professionali che richiedono una specifica preparazione a garanzia di interessi pubblici generali la cui tutela compete allo Stato>>".
Per interagire con quanti chiedono una vera liberalizzazione di tutte le professioni (e non solo di quella di avvocato) aderisci al social network www.concorrenzaeavvocatura.ning.com e per un commento scrivimi all'indirizzo Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.
PER ULTERIORI APPROFONDIMENTI SUL PERCHE' SI PUO' INSISTERE A CHIEDERE AL PARLAMENTO DI LIBERALIZZARE LE PROFESSIONI CLICCA SU "LEGGI TUTTO" ...
La domanda di fondo cui si dovrà dare risposta nel corso dell'esame parlamentare del "decreto legge di ferragosto" rimane questa: abolire l'esame di Stato per tutte le professioni è consentito al legislatore ordinario? e inoltre, oggi è una scelta giusta abolire l'esame di Stato per tutte le professioni?
Certamente il legislatore ordinario potrebbe abolire l'esame di Stato per tutte le professioni perchè la Costituzione non dice affatto che alcune professioni (come ad esempio quella di avvocato o di notaio o di medico) necessitano di un tale "esame d'accesso". Inoltre l'art. 117 Cost. ormai tutela pure la concorrenza, la quale non tollera limiti all'accesso alla professione che non siano dettati da effettive (e non meramente asserite) esigenze imperative di carattere generale (per dirla con la Corte di giustizia). E, ancora, l'art. 15 della Carta delle libertà fondamentali dell’Unione europea stabilisce che "Ogni individuo ha il diritto di lavorare e di esercitare una professione liberamente scelta o accettata". Dovranno pur avere un qualche peso tali solenni affermazioni di rango costituzionale! Oi veti dei numerosissimi parlamentari professionisti varranno di più?
Quanto poi alla previsione di "scialuppe di salvataggio" per questa o quella professione (ma bisognerebbe dire, in caso di mantenimento dell'esame di stato, "per questa o quella corporazione") ci rendiamo tutti conto di come le scialuppe di salvataggio del Titanic siano assediate da troppi soggetti che rivendicano la loro "specialità" e non tutti ci possono salire a bordo. E se provassimo a selezionare gli aspiranti superstiti? (si domandano i soliti pragmatici che non hanno mai cambiato niente). Niente da fare: la selezione degli aspiranti superstiti porta a scartarli tutti, come si vedrà.
Domandiamoci: chi più dei notai sembrerebbe titolato a salire sulla scialuppa di salvataggio dell'esame di Stato? I notai, infatti, si dice, devono sicuramente continuare a sostenere un esame di Stato perchè la professione notarile è anche "potere pubblico", non è solo utilissima alla società come lo è la professione di commercialista o di avvocato o di medico e come quelle poche altre che (forzando il testo della Costituzione) si dice debbano essere garantite affinchè ci garantiscano. Ebbene, anche per i notai i tempi cambiano: essi non sono "potere pubblico", l'ha ormai chiarito pure la Corte di giustizia nella sentenza depositata il 25/5/2011 (nelle cause C-47/08, C-50/08, C-51/08, C-53/08, C-54/08, C-61/08 C-52/08). Si legge, tra l'altro, nella sentenza della Corte di giustizia: "Il fatto che l’attività dei notai persegua un obiettivo di interesse generale, ossia quello di garantire la legalità e la certezza del diritto degli atti conclusi tra privati, non è sufficiente, di per sé, a far considerare tale attività come partecipazione diretta e specifica all’esercizio dei pubblici poteri"; e ancora: "le attività svolte nell’ambito di diverse professioni regolamentate comportano di frequente l’obbligo, per le persone che le compiono, di perseguire un obiettivo del genere, senza che dette attività rientrino per questo nell’ambito dell’esercizio di pubblici poteri”.
E, passando ad altre professioni, non vedo, in primo luogo, come gli avvocati italiani possano sperare, a questo punto, di essere qualificati necessari partecipi del potere pubblico dell'amministrazione della giustizia, più di quanto potrebbero sperarlo i tecnici che nei processi (spesso con una efficacia sulle decisioni dei giudici ben maggiore a quella esercitata dagli avvocati) svolgono la funzione di consulenti tecnici d'ufficio o di parte. A meno che non si voglia sperare che il Legislatore scriva una legge costituzionale che sul presupposto (ormai da ritenere inesistente della partecipazione dell'avvocato all'amministrazione della giustizia) fondi la tanto invocata tutela della mitica specialità (che in realtà si vorrebbe eccezionalità) dell'avvocatura. C'è da scommettere che non passerà una modifica della Costituzione che "specifichi" in tal senso l'art. 24 della Costituzione. Soprattutto oggi (visto che una profonda riforma delle professioni in senso di liberalizzazione delle stesse è richiesta pure dalla BCE per lo sviluppo economioco dell'Italia) le conseguenze delle sentenze della Corte di giustizia del 24 maggio si dovrebbero far sentire anche per gli avvocati e per tutti gli altri professionisti che aspirino a tutele generali contro l'applicazione delle regole U.E. di concorrenza.
E allora? Allora si faccia finalmente il salto rinviato per più di mezzo secolo e, con la legge ordinaria di conversione del decreto legge di ferragosto, si cancelli finalmente il corporativismo fascista delle professioni, abolendo l'esame di Stato per tutte le professioni e riconducendo gli Ordini professionali al loro naturale ruolo di associazioni private. ATTENZIONE PERO': il detto corporativismo non è affatto sconfitto in Italia, anzi dalla caduta del fascismo s'è rafforzato e vuole ancora rafforzarsi (vedasi la legge di riforma forense approvata in prima lettura dal Senato a fine 2010 e ora all'esame della Camera - atto Camera 3900).
Decidendo sei ricorsi della Commissione (appoggiata dal Regno Unito) per inadempimento nei confronti di vari Stati membri (Belgio causa C-47/08, Francia causa C-50/08, Lussemburgo causa C-51/08, Austria causa C-53/08, Germania causa C-54/08, Grecia causa C-61/08 e Portogallo causa C-52/08) che riservavano ai loro cittadini l'esercizio della professione notarile, la Corte di giustizia, con sentenza depositata il 24 maggio 2011, ha stabilito che la professione di notaio, anche se è certo che persegue obiettivi di interesse generale, non è per ciò solo partecipe dell’esercizio di poteri pubblici. Conseguentemente, poichè la partecipazione ai poteri pubblici è l'unica causa, secondo il Trattato dell'Unione Europea, per cui è possibile derogare al principio della libertà di stabilimento, ne deriva per la Corte che sono incompatibili con il Trattato (in quanto discriminano inammissibilmente in base alla nazionalità e quindi violano l'art. 43 del Trattato <art. 49 del Trattato di Lisbona>) quelle normative nazionali che escludono la possibilità per i non cittadini d'esercitare la professione di notaio....
Se la conferma del divieto di discriminazione in base alla cittadinanza appariva scontata, non lo era affatto l'affermazione per cui solo le attività che costituiscono una “partecipazione diretta e specifica all’esercizio dei pubblici poteri” possono beneficiare di una deroga all’applicazione del principio della libertà di stabilimento. Non era scontata l'affermazione per cui “le attività notarili, come attualmente definite negli Stati membri in questione non partecipano all'esercizio dei pubblici poteri ai sensi dell’art. 45 del Trattato CE. Pertanto, il requisito di cittadinanza previsto dalla normativa di tali Stati per l'accesso alla professione di notaio costituisce una discriminazione fondata sulla cittadinanza vietata dal Trattato CE”. Non era affatto scontato il rifiuto della tesi avversa per cui il notaio sarebbe “un pubblico ufficiale che partecipa all’esercizio dei pubblici poteri e la cui attività è esclusa dalla disciplina sulla libertà di stabilimento”. Non era scontato che non si sarebbero riconosciute applicabili le esclusioni consentite dal Trattato CE, relative al principio di libertà di stabilimento, per attività che partecipano, sia pure occasionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri. Non era scontato che si sarebbe potuto leggere nelle sentenze della Corte di giustizia frasi del genere: "Il fatto che l’attività dei notai persegua un obiettivo di interesse generale, ossia quello di garantire la legalità e la certezza del diritto degli atti conclusi tra privati, non è sufficiente, di per sé, a far considerare tale attività come partecipazione diretta e specifica all’esercizio dei pubblici poteri"; e ancora: "le attività svolte nell’ambito di diverse professioni regolamentate comportano di frequente l’obbligo, per le persone che le compiono, di perseguire un obiettivo del genere, senza che dette attività rientrino per questo nell’ambito dell’esercizio di pubblici poteri”.
Negare che il notaio sia partecipe al potere pubblico, sconfessa la posizione giurisprudenziale largamente dominante che riconosceva tale professionista in generale come partecipe del potere statuale. La decisione della Corte di giustizia smonta tale convincimento anche con particolare riferimento alle varie attività dei notai: quella di pubblico ufficiale che autentica, quella del redigere atti aventi efficacia probatoria, quella del compiere attii aventi efficacia esecutiva, quella dell'intervenire in materia successoria. La conseguenza sarà che i notariati d'europa non potranno più ritenersi per previsione generale esentati dalle regole dell'Unione che valgono per tutti gli altri professionisti in tema di libertà di stabilimento, libertà di concorrenza, libertà di prestazione dei servizi. Certo gli Stati potranno invocare le esigenze imperative di interesse generale che si possono riscontrare nella regolazione della indipendenza, incompatibilità, inamovibilità dei notai, così come nella selezione dei notai, nella limitazione del loro numero, nella limitazione delle loro competenze territoriali, nella loro remunerazione. Ma è altro tipo di esclusione dalle regole di concorrenza, stabilimento e prestazione dei servizi, rispetto a quella (generale) sino ad oggi invocata. Da oggi in poi gli Stati potranno introdurre e mantenere in vigore regole derogatorie rispetto a quelle valide per tutte le professioni in tema di concorrenza, stabilimento e prestazione di servizi, solo se si tratti di regole rispettose del principio di proporzionalità (efficaci e non limitatrici della libertà in misura superiore al necessario).
Scrive, tra l'altro, la Corte di giustizia, con riguardo all'attività del notaio pubblico ufficiale che autentica atti: "Mediante tale intervento – obbligatorio o facoltativo in funzione della natura dell’atto – il notaio constata il ricorrere di tutti i requisiti stabiliti dalla legge per la realizzazione dell’atto, nonché la capacità giuridica e la capacità di agire delle parti. L’atto pubblico gode inoltre di un’efficacia probatoria qualificata nonché di efficacia esecutiva. Sono oggetto di autenticazione gli atti o le convenzioni alle quali le parti hanno liberamente aderito. Sono infatti le parti stesse a decidere, nei limiti posti dalla legge, la portata dei loro diritti e obblighi e a scegliere liberamente le pattuizioni alle quali vogliono assoggettarsi allorché presentano un atto o una convenzione al notaio per l’autenticazione. L’intervento del notaio presuppone quindi la previa esistenza di un consenso o di un accordo di volontà delle parti. Inoltre, il notaio non può modificare unilateralmente la convenzione che è chiamato ad autenticare senza avere preliminarmente ottenuto il consenso delle parti. L’attività di autenticazione affidata ai notai non comporta quindi una partecipazione diretta e specifica all’esercizio dei pubblici poteri. La circostanza che determinati atti o determinate convenzioni debbano essere obbligatoriamente oggetto di autenticazione a pena di nullità non è idonea ad inficiare tale conclusione, in quanto è usuale che la validità di atti diversi sia assoggettata a requisiti di forma o ancora a procedure obbligatorie di convalida.
Quanto alla rilevanza dell'essere il notaio in concorrenza, su un determinato territorio, con suoi colleghi, aggiunge la Corte di giustizia: "Inoltre, nei limiti delle rispettive competenze territoriali, i notai esercitano la loro professione in condizioni di concorrenza, circostanza che non è caratteristica dell’esercizio dei pubblici poteri".
Pure rilevanza attribuisce la Corte di giustizia alla responsabilità professionale del notaio, affermando: "Del pari, essi sono direttamente e personalmente responsabili, nei confronti dei loro clienti, dei danni risultanti da qualsiasi errore commesso nell’esercizio delle loro attività, a differenza delle pubbliche autorità, per i cui errori assume responsabilità lo Stato”.
DUNQUE ANCHE IN ITALIA LA PROFESSIONE DI NOTAIO NON PARTECIPA DEL POTERE PUBBLICO, SECONDO IL SIGNIFICATO CHE A DETTA PARTECIPAZIONE ATTRIBUISCONO LE SENTENZE DELLA CORTE DI GIUSTIZIA. QUINDI IL NOTARIATO ITALIANO (CHE HA EVITATO DI INCAPPARE DIRETTAMENTE NELLE SENTENZE IN QUESTIONE, AVENDO ABOLITO NEL 2003 IL REQUISITO DELLA CITTADINANZA ITALIANA) NON PUO' RITENERSI ESTRANEO ALLE RICHIAMATE CONSEGUENZE DELLE SETTE DECISIONI DELLA CORTE DI GIUSTIZIA DEL 24 MAGGIO 2011. RIBADISCO: ormai gli Stati dell'Unione, compresa l'Italia, potranno introdurre e mantenere in vigore regole in tema di notariato (ad es. riguardo a indipendenza, incompatibilità, inamovibilità dei notai, oppure riguardo a selezione dei notai, limitazione del loro numero, limitazione delle loro competenze territoriali, loro remunerazione) derogatorie rispetto a quelle valide per tutte le professioni in tema di concorrenza, stabilimento e prestazione di servizi, solo se si tratti di regole rispettose del principio di proporzionalità e cioè efficaci e non limitatrici della libertà in misura superiore al necessario.
E anche per gli avvocati (e tutti gli altri professionisti che aspirino a tutele generali contro l'applicazione delle regole U.E. di concorrenza) le conseguenze delle sentenze del 24 maggio 2011 si faranno sentire. Peserà anche nei confronti degli avvocati il giudizio per cui: "Il fatto che l’attività dei notai persegua un obiettivo di interesse generale, ossia quello di garantire la legalità e la certezza del diritto degli atti conclusi tra privati, non è sufficiente, di per sé, a far considerare tale attività come partecipazione diretta e specifica all’esercizio dei pubblici poteri"; e soprattutto: "le attività svolte nell’ambito di diverse professioni regolamentate comportano di frequente l’obbligo, per le persone che le compiono, di perseguire un obiettivo del genere, senza che dette attività rientrino per questo nell’ambito dell’esercizio di pubblici poteri."
LEGGI LE SENTENZE SUL SITO DELLA CORTE DI GIUSTIZIA, INDICANDO IL NUMERO DI CAUSA ALL'INDIRIZZO www.curia.europa.eu/jcms/jcms/j_6/ ... e per un commento scrivimi all'indirizzo Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo.
< Prec. | Succ. > |
---|