{mosimage} Il TAR Lazio, Sez. I, con la sentenza n.4547 resa nella camera di consiglio del 7/5/2008 e depositata il 20/5/2008, ha confermato la giurisdizione del giudice ordinario in ordine a domanda di accertamento della fondatezza della pretesa all'inquadramento nella vicedirigenza dei dipendenti pubblici. Si conferma, dunque, autorevolmente la recente svolta interpretativa sancita, sul punto, dal Tribunale di Roma con sentenza 4399/2008 (la trovi su questo sito assieme a relativa bozza di richiesta di tentativo di conciliazione). Il TAR afferma tra l'altro: "... inammissibilità del proposto mezzo di tutela anche per quanto concerne la formulata domanda di accertamento della fondatezza della pretesa all’inquadramento di ciascun ricorrente nell’area della vicedirigenza. Ciò in quanto tale pretesa, riguardante lo specifico rapporto di lavoro alle dipendenze della Pubblica Amministrazione (e, quindi, la lesione della sfera giuridica individuale del singolo lavoratore), appartiene alla cognizione giurisdizionale del giudice ordinario, ai sensi dell’art. 63, comma 1, del D.Lgs. 165/2001". LEGGI DI SEGUITO LA SENTENZA DEL TAR LAZIO, N.4547 DEL 7/5/2008, DEPOSITATA IL 20/5/2008 ...
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N. Reg. Sent.
Anno 2008
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO N. 2878 Reg. Ric.
Anno 2008
Sezione I
ha pronunciato la seguente
Sentenza
sul ricorso n. 2878 del 2008, proposto da Ventura Maria Grazia, Amerighi Tommaso, Punzo
Anna, Festa Antonio, Luciani Roberto, Vaccaro Luigi Donato Emilio, Morra Claudio, Miraglia
Luigi, Manzi Arcangelo, Centritto Maria Luisa, Narni Mancinelli Domenico, Sansone Salvatore,
Di Giorgio Claudio, Saragò Michele, Vele Domenico, Gargiulo Giovanna, Labellarte Palma,
Amendolagine Beatrice, Bruno Giovanni, Tagliaferri Emilia Maria Rosaria, Tagliente Marcello,
Scarano Maria Teresa, Sabia Francesco, Russo Alfonsina, Raimondi Maria Domenica, Pilogallo
Anna, Pica Elvira, Petrizzi Carmela, Mortoro Francesca, Moliterni Lucia, Mecca Canio, Masini
Giovanni, Martorano Mario, Guglielmi Donata Maria, Graziadei Ermelinda, Gallucci Melania,
Fischetti Rocco, De Meo Gennaro, D’Andrea Maria, Ciriello Rosanna, Capano Antonio, Calabrese
Filomena, Brancati Ulderica Anna, Adurno Mariangela, Sposato Delia, Masper Alessandra, La
Sala Stefano, rappresentati e difesi dall'avv. Raffaele Capunzo, per il presente giudizio
elettivamente domiciliati in Roma, alla via Cosseria n. 2, presso lo studio dell'avv.
Giuseppe Placidi
contro
la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio dei
Ministri p.t., in proprio e quale legale rappresentante del Comitato di settore per le
Amministrazioni, le Agenzie e le Aziende autonome dello Stato;
il Ministero per le riforme e le innovazioni nella Pubblica Amministrazione, in persona del
Ministro p.t.;
il Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro p.t.;
l’Agenzia per la rappresentanza delle Pubbliche Amministrazioni (ARAN), in persona del
legale rappresentante;
rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale sono
elettivamente domiciliati, in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12
per l'annullamento
del silenzio rifiuto o silenzio inadempimento formatosi per effetto dell’inutile decorso del
termine assegnato a provvedere giusta atto stragiudiziale di significazione e di diffida in
data 6 – 12 novembre 2007
nonché per l’accertamento e la declaratoria
del diritto dei ricorrenti a vedersi riconosciuta la qualifica di vicedirigenti previa
obbligatoria attuazione – a cura delle convenute Amministrazioni – della separata Area della
Vicedirigenza così come normativamente prevista con decorrenza economica e giuridica dall’
entrata in vigore della sua legge istitutiva, la n. 145 del 15 luglio 2002, ovvero – in via
meramente gradata – dalla formale sottoscrizione del C.C.N.L. Comparto Ministeri valevole
per il quadriennio 2006 – 2009.
Visto il ricorso con la relativa documentazione;
Visto l'atto di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla Camera di Consiglio del 7 maggio 2008 il dr. Roberto POLITI; uditi altresì i
procuratori delle parti come da verbale d’udienza.
Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue:
Fatto
I ricorrenti espongono di essere dipendenti di ruolo di vari Ministeri, inquadrati nelle
posizioni economiche C2 e C3 (ex qualifiche VIII e IX), di avere maturato cinque anni di
servizio alla data di entrata in vigore della legge 15 luglio 2002 n. 145, istitutiva della
c.d. vice-dirigenza e di esercitare funzioni direttive.
Soggiungono di aver notificato atto di significazione e di diffida con il quale le
Amministrazioni intimate sono state sollecitate, nei limiti delle attribuzioni alle medesime
rimesse, ad avviare la procedura per l’attuazione della separata Area della Vicedirigenza.
Tale formale richiesta non ha ricevuto alcun riscontro.
La condotta nella fattispecie posta in essere dalla Amministrazioni intimate integrerebbe,
pertanto, la presenza delle seguenti tipologie inficianti:
violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge 7 agosto 1990 n. 241;
violazione e falsa applicazione dell’art. 17-bis del D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165, come
introdotto dall’art. 7 della legge 15 luglio 2002 n. 145, la violazione e falsa applicazione
della legge 145/2002 e dell’art. 14-octies della legge 7 agosto 2005 n. 168, la violazione e
falsa applicazione degli artt. 1 e 17-bis della legge 23 dicembre 2005 n. 266;
eccesso di potere per manifesta ingiustizia ed irragionevolezza; sviamento.
La pretesa sostanziale fatta valere in giudizio – ancorché veicolata dall’accertamento
dell’illegittimità del contegno omissivo osservato dall’Amministrazione – si fonda sull’art.
3, comma 7 della legge 145/2002, il quale, nell’introdurre l’art. 17-bis del D.Lgs.
165/2001, ha demandato alla contrattazione collettiva l’istituzione di un’apposita area
della Vicedirigenza, nella quale è ricompreso il personale laureato appartenente alle
posizioni C2 e C3 con cinque anni di anzianità in tali posizioni o nelle corrispondenti
qualifiche VIII e IX del precedente ordinamento.
I tempi di attuazione della disciplina come sopra introdotta decorrono, secondo quanto
stabilito dal citato comma 3 dell’art. 10, a decorrere dal periodo contrattuale successivo a
quello in corso alla data di entrata in vigore della legge 145/2002.
Assumono per l’effetto i ricorrenti la titolarità di un diritto soggettivo alla definizione
della propria posizione giuridica; ed evidenziano, in ragione dell’intervenuto decorso dei
tempo a tal fine indicati dalla legge, il senso dell’iniziativa dai medesimi assunta –
mediante notificazione dell’anzidetto atto di significazione e diffida – al fine di
sollecitare l’avvio delle procedure al fine della creazione di una separata ed apposita area
della Vicedirigenza.
Sollecitano conclusivamente i ricorrenti, a fronte del silenzio mantenuto dalle
Amministrazioni intimate a fronte della diffida di cui sopra, l’adozione di una pronunzia
giudiziale che non soltanto dia atto dell’illegittimità di tale contegno, ma – secondo
quanto stabilito dalla vigente disciplina (art. 21-bis della legge 1034/1971; art. 2, comma
5, della legge 241/1990) – valuti la fondatezza sostanziale della pretesa fatta valere,
trattandosi di materia nella quale è riservato all’Amministrazione l’esercizio di un potere
vincolato.
Si sono costituite in giudizio le Amministrazioni evocate.
Il ricorso viene ritenuto per la decisione alla Camera di Consiglio del 7 maggio 2008.
Diritto
1. Come è noto, l’art. 2 della legge 7 agosto 1990 n. 241 (come sostituito dal comma 6-bis
dell’art. 3 del decreto legge 14 marzo 2005 n. 35, convertito, con modificazioni, in legge
14 maggio 2005 n. 80) stabilisce che – ferma restando la sollecitabilità del sindacato
giurisdizionale a fronte di un contegno inadempiente dell’Amministrazione anche senza la
previa diffida a provvedere – l’adito organo di giustizia amministrativa “può conoscere
della fondatezza dell’istanza”.
Rileva pertanto, ai fini della delibazione del proposto mezzo di tutela, l’esigenza di
procedere ad una previa ricognizione del quadro normativo di riferimento, al fine di
valutare – con riguardo al complesso di disposizioni che parte ricorrente (come osservato in
narrativa) assume non abbiano avuto compiuta attuazione – la sostanza della pretesa fatta
valere: valutazione, questa, che senz’altro assume valenza prodromica ai fini dell’adozione
della sollecitata pronunzia di illegittimità del contegno omissivo che si assume nella
fattispecie essere stato osservato dalle Amministrazioni intimate.
Viene, allora, innanzi tutto in considerazione il disposto dell’art. 17-bis del D.Lgs. 30
marzo 2001 n. 165 (inserito dall'articolo 7, comma 3, della legge 15 luglio 2002 n. 145), il
quale ha stabilito che:
“la contrattazione collettiva del comparto Ministeri disciplina l'istituzione di un'apposita
separata area della vicedirigenza nella quale è ricompreso il personale laureato
appartenente alle posizioni C2 e C3, che abbia maturato complessivamente cinque anni di
anzianità in dette posizioni o nelle corrispondenti qualifiche VIII e IX del precedente
ordinamento. In sede di prima applicazione la disposizione di cui al presente comma si
estende al personale non laureato che, in possesso degli altri requisiti richiesti, sia
risultato vincitore di procedure concorsuali per l'accesso alla ex carriera direttiva anche
speciale” (comma 1, modificato dall'articolo 14-octies del decreto legge 30 giugno 2005 n.
115);
e che la disposizione di cui al precedente comma si applica, ove compatibile, “al personale
dipendente dalle altre amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, appartenente a
posizioni equivalenti alle posizioni C2 e C3 del comparto Ministeri; l'equivalenza delle
posizioni è definita con decreto del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con il
Ministro dell'economia e delle finanze” (comma 2).
Nell’osservare che, secondo quanto disposto dal comma 3 dell’art. 10 della legge 145/2002,
“la disciplina relativa alle disposizioni di cui al comma 3 dell'articolo 7, che si
applicano a decorrere dal periodo contrattuale successivo a quello in corso alla data di
entrata in vigore della presente legge, resta affidata alla contrattazione collettiva, sulla
base di atti di indirizzo del Ministro per la funzione pubblica all'Agenzia per la
rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) anche per la parte relativa
all'importo massimo delle risorse finanziarie da destinarvi”, va ulteriormente rilevato
come, quanto alla disposizione dettata dal riportato comma 1 dell’art. 17-bis, per il
personale del comparto Ministeri sia stata stanziata la somma di 15 milioni di euro per
l'anno 2006 e di 20 milioni di euro a decorrere dall'anno 2007 (art. 1, comma 227, della
legge 23 dicembre 2005, n. 266).
Da ultimo, si rammenta che – relativamente all’individuazione delle Autorità competenti ai
fini dell’emanazione degli atti di indirizzo come sopra da fornire all’ARAN al fine dell’
avvio della negoziazione con la controparte sindacale – l’art. 41 del D.Lgs. 30 marzo 2001
n. 165 stabilisce che
se le pubbliche amministrazioni esercitano il potere di indirizzo nei confronti dell'ARAN e
le altre competenze relative alle procedure di contrattazione collettiva nazionale
attraverso le loro istanze associative o rappresentative, le quali danno vita a tal fine a
comitati di settore (comma 1),
per le amministrazioni, le agenzie e le aziende autonome dello Stato, opera come comitato di
settore il Presidente del Consiglio dei ministri tramite il Ministro per la funzione
pubblica, di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione
economica nonché, per il sistema scolastico, di concerto con il Ministro della pubblica
istruzione e, per il comparto delle Agenzie fiscali, sentiti i direttori delle medesime
(comma 2);
ulteriormente osservandosi come, a norma del successivo art. 47, comma 1, “gli indirizzi per
la contrattazione collettiva nazionale sono deliberati dai comitati di settore prima di ogni
rinnovo contrattuale e negli altri casi in cui è richiesta una attività negoziale
dell'ARAN”.
2. Quanto sopra posto, lamentano gli odierni ricorrenti che sia mancato, ai fini dell’
attuazione delle disposizioni in precedenza riportate, l’atto di impulso del relativo iter
procedimentale al fine di consentire all’ARAN l’avvio della fase negoziale volta a definire
i concreti contenuti dell’istituenda separata area della vicedirigenza relativamente al
comparto Ministeri.
Il ricorso è inammissibile per difetto di legittimazione ad agire.
2.1 Rilevano, a tale riguardo, le disposizioni dettate dall’art. 63 del D.Lgs. 30 marzo 2001
n. 165, il cui comma 1 devolve al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro,
tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche
amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, ad eccezione di quelle relative ai rapporti di
lavoro di cui al comma 4, incluse le controversie concernenti l’assunzione al lavoro, il
conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilità dirigenziale,
nonché quelle concernenti le indennità di fine rapporto, comunque denominate e corrisposte,
ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti.
Il riparto di giurisdizione in detta materia, introdotto in origine dall’art. 68 del D.Lgs.
3 febbraio 1993 n. 29, costituisce la logica ed inevitabile conseguenza della c.d.
privatizzazione del pubblico impiego.
La sottoposizione del rapporto di lavoro alle dipendenze della Pubblica Amministrazione ad
una normativa di carattere privatistico (ad eccezione di alcune categorie di personale
tassativamente indicate per le quali persiste un regime di diritto pubblico), alla quale
accede la qualificazione degli atti di gestione del rapporto come atti di diritto privato e
non più come atti organizzativi di carattere pubblicistico, ha comportato come naturale
conseguenza lo spostamento della giurisdizione sul rapporto dal giudice amministrativo al
giudice ordinario.
In altri termini, all’integrazione del lavoro pubblico a quello privato sotto il profilo
sostanziale, ha fatto seguito l’integrazione dei rapporti di lavoro sotto il profilo
processuale, mentre, con la conservazione del precedente riparto di giurisdizione, si
sarebbe pervenuti alla non accettabile situazione per cui fattispecie oggettivamente
identiche tra loro, vale a dire le posizioni del dipendente pubblico e del dipendente
privato, avrebbero conosciuto giurisdizioni differenti in ragione della diversa natura,
pubblica o privata, del datore di lavoro.
Il comma 3 dell’art. 63 D.Lgs. 165/2001 attribuisce altresì al giudice ordinario, in
funzione di giudice del lavoro, le controversie relative a comportamenti antisindacali delle
pubbliche amministrazioni ai sensi dell’art. 28 della legge 20 maggio 1970 n. 300, e
successive modificazioni ed integrazioni, e le controversie, promosse da organizzazione
sindacali, dall’ARAN o dalle pubbliche amministrazioni, relative alle procedure di
contrattazione collettiva di cui agli artt. 40 e seguenti del decreto.
Ne consegue che le controversie in materia di atti di indirizzo (i poteri di indirizzo nei
confronti dell’ARAN sono previsti dall’art. 41 del D.Lgs. 165/2001) e comunque concernenti i
procedimenti di contrattazione collettiva sono attribuite in via esclusiva alla
giurisdizione ordinaria.
La circostanza che la giurisdizione ordinaria sia specificamente prevista solo allorquando
la controversia sia stata promossa da organizzazioni sindacali, dall’ARAN o dalle Pubbliche
Amministrazioni, peraltro, non sposta i termini della questione.
Infatti – escluso che l’eventuale controversia proposta da un singolo lavoratore in
relazione alle procedure di contrattazione collettiva possa ritenersi attribuita al giudice
amministrativo, atteso che in tal caso si perverrebbe alla irragionevole e paradossale
conclusione che la giurisdizione appartiene ad un plesso giurisdizionale anziché ad un altro
in ragione del carattere individuale, o collettivo, del soggetto che agisce in giudizio – la
precisazione di cui al comma 3 dell’art. 63 D.Lgs. 165/2001 deve essere intesa nel senso che
i soggetti legittimati ad instaurare una controversia in subiecta materia sono le
organizzazioni sindacali, l’ARAN o le pubbliche amministrazioni e non anche i singoli
lavoratori.
Di talché, i singoli lavoratori devono ritenersi carenti di legittimazione ad agire in
ordine alle procedure di contrattazione collettiva.
La possibilità di proporre un’azione impugnatoria di provvedimenti amministrativi, al di là
di specifiche ipotesi contemplate dalla legge, non è concessa a chiunque in qualità di
cittadino intenda censurare l’esercizio del potere pubblico, vale a dire uti cives, ma
soltanto al titolare di una posizione di interesse legittimo e cioè di una posizione
qualificata e differenziata rispetto alla posizione di tutti gli altri membri della
collettività, vale a dire uti singulus.
La posizione legittimante alla proposizione del ricorso, quindi, è necessariamente connotata
dai caratteri dalla differenziazione e dalla qualificazione.
La prima qualità può discendere dall’atto amministrativo quando esso incide immediatamente
nella sfera giuridica del soggetto ovvero può rinvenirsi nel collegamento tra la sfera
giuridica individuale ed il bene della vita oggetto della potestà pubblica quando l’atto
esplica effetti diretti nella sfera giuridica altrui e, in ragione di tali effetti, è
destinato ad interferire sulla posizione sostanziale del ricorrente.
Peraltro, ai fini della configurazione della posizione sostanziale legittimante l’azione,
non è sufficiente che sussista un qualsiasi interesse differenziato, rispetto a quello di
altri soggetti, al corretto esercizio del potere amministrativo, ma è necessario anche che
l’interesse individuale sia qualificato, sia cioè considerato dalla norma attributiva del
potere, nel senso che tale norma o l’ordinamento nel suo complesso deve prendere in
considerazione oltre l’interesse pubblico che è precipuamente preordinata a soddisfare anche
l’interesse individuale privato su cui va ad incidere l’azione amministrativa.
Nel caso di specie – dovendosi escludere che abbia inteso stabilire per controversie dall’
identico oggetto una differente giurisdizione in ragione del soggetto proponente l’azione –
l’art. 63, comma 3, del D.Lgs. 165/2001 ha circoscritto alle organizzazioni sindacali, all’
ARAN ed alle Pubbliche Amministrazioni il novero dei soggetti legittimati a promuovere
controversie in relazione alle procedure di contrattazione collettiva di cui all’art. 40 e
seguenti del decreto stesso.
In sostanza, lo stesso legislatore ha definito i soggetti che, nella materia de qua, hanno
una posizione, oltre che differenziata, anche qualificata e, quindi, tale da legittimarli
alla proposizione dell’azione giudiziaria.
D’altra parte, le procedure di contrattazione collettiva sono destinate ad incidere nella
sfera giuridica della generalità dei lavoratori, sicché si rivela coerente attribuire la
legittimazione ad agire in giudizio agli enti esponenziali dei lavoratori, vale a dire alle
organizzazioni sindacali.
2.2 E, d’altro canto, fermo il carattere di inammissibilità del ricorso all’esame (sotto il
profilo della carenza di legittimazione attiva) per quanto concerne la dedotta pretesa di
accertamento dell’illegittimità del contegno omissivo assunto dall’Amministrazione
competente quanto alla (asseritamente) obbligatoria adozione dell’atto di indirizzo, va
parimenti dato atto dell’inammissibilità del proposto mezzo di tutela anche per quanto
concerne la formulata domanda di accertamento della fondatezza della pretesa all’
inquadramento di ciascun ricorrente nell’area della vicedirigenza.
Ciò in quanto tale pretesa, riguardante lo specifico rapporto di lavoro alle dipendenze
della Pubblica Amministrazione (e, quindi, la lesione della sfera giuridica individuale del
singolo lavoratore), appartiene alla cognizione giurisdizionale del giudice ordinario, ai
sensi dell’art. 63, comma 1, del D.Lgs. 165/2001.
3. Ribadita, alla luce delle considerazioni precedentemente svolte, l’inammissibilità del
gravame in quanto l’esaminabilità della sollecitata declaratoria di illegittimità del
lamentato contegno omissivo dell’Amministrazione si dimostra preclusa a fronte della non
sottoponibilità a sindacato della sottesa pretesa sostanziale fatta valere dalla parte
ricorrente, rileva conclusivamente il Collegio la presenza di giusti motivi per compensare
fra le parti le spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio – Sezione I – dichiara inammissibile, nei
sensi di cui in motivazione, il ricorso indicato in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio del 7 maggio 2008, con l’intervento dei
seguenti magistrati:
Pasquale DE LISE – Presidente
Roberto POLITI – Consigliere, relatore, estensore
Mario Alberto DI NEZZA – Primo Referendario
IL PRESIDENTE IL MAGISTRATO ESTENSORE
Ric. n. 2878/2008
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