Il Consiglio di Stato, sezione IV, ordinanza 1 giugno 2016, n. 2334, ha scritto:
"8.6.1. Si è detto della rilevanza della questione di interpretazione della compatibilità della normativa nazionale con le disposizioni del Trattato FUE, ai fini della definizione del presente giudizio.
In sintesi circa la portata dell’«obbligo» del giudice nazionale di ultima istanza di sollevare «pregiudiziale comunitaria», la Corte di giustizia ha chiarito che tale obbligo non sussiste se:
a) la questione di interpretazione di norme comunitarie non è pertinente al giudizio (vale a dire nel caso in cui la soluzione non possa in alcun modo influire sull’esito della lite);
b) la questione è materialmente identica ad altra già decisa dalla corte o comunque il precedente risolve il punto di diritto controverso;
c) la corretta applicazione del diritto comunitario può imporsi con tale evidenza da non lasciar adito a nessun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione (c.d. teoria dell’atto chiaro, sul punto è sufficiente il richiamo alla sentenza capostipite della Corte del Lussemburgo 6 ottobre 1982, C-283/81, Ci.).
A stretto rigore, nel caso di specie, non ricorre alcuna di queste deroghe.
8.6.2. Non possono essere trascurati, poi, i seguenti ulteriori risvolti:
a) il mancato rinvio pregiudiziale in termini di responsabilità del giudice nazionale e dello Stato di appartenenza, atteso che, nell’ordinamento italiano, a fondamento di azioni di responsabilità civile nei confronti dei magistrati e dello Stato ai sensi della l. 117 del 1988 (come novellata dalla l. n. 18 del 2015) viene posta, fra l’altro, proprio l’asserita inosservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale (art. 2, co. 3-bis); del resto laddove si configuri un obbligo di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, la sua violazione è ritenuta dalla medesima Corte sanzionabile mediante la responsabilità degli Stati membri, che sono tenuti a risarcire i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto dell’Unione riconducibili ad organi giudiziari, e in particolare quando questi ultimi omettano di ottemperare all’obbligo di rinvio pregiudiziale (a partire da Corte giust. 30 settembre 2003, causa C-224/01, Ko.; successivamente, 13 giugno 2006, causa C-173/03, Tr.i de. Me.; 24 novembre 2011, causa C-379/10, Commissione europea c. Repubblica italiana);
b) la necessità di evitare che si configuri il possibile abuso degli strumenti processuali ad opera delle parti con richieste di rinvio pregiudiziale che, pur formalmente assentibili, nella sostanza tendono, come nel caso di specie, a superare una decisione del giudice costituzionale nazionale nonostante sia stata resa all’esito della valutazione di parametri di giudizio sostanzialmente omogenei rispetto a quelli invocati nella richiesta di rinvio pregiudiziale; dunque in violazione del divieto del ne bis in idem processuale e con la conseguente ulteriore lesione del principio di ragionevole durata del processo;
c) la necessità di vagliare, in sede di interpretazione dell’art. 267 Trattato FUE, le più mature acquisizioni elaborate dalla Corte EDU, in applicazione dell’art. 6 CEDU, circa la possibilità di configurare la responsabilità del giudice nazionale di ultima istanza, solo quando ometta di motivare sulle ragioni del diniego di rinvio (cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo, 8 aprile 2014, Dh. c. Italia)."
LEGGI DI SEGUITO L'INTERA ORDINANZA DELLA SEZIONE 4 DEL CONSIGLIO DI STATO, 1 GIUGNO 2016, N. 2334 ...
Consiglio di Stato
sezione IV
ordinanza 1 giugno 2016, n. 2334
REPUBBLICA ITALIANA
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 2407 del 2012, proposto da Gl. St. Ltd (già B Pl. Gi. Ltd), rappresentata e difesa dagli avv.ti Be. Gi. Ca., An. Sc., Ca. Ba. e St. Vi., con domicilio eletto presso St. Vi. in Roma, via (…);
contro
Ministero dell’Economia e delle Finanze, Amministrazione Autonoma Monopoli di Stato, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliati in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per il Lazio – Roma – Sezione II, n. 10078 del 22 dicembre 2011.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dell’Amministrazione Autonoma Monopoli di Stato;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 febbraio 2016 il Cons. Oberdan Forlenza e uditi per le parti gli avvocati Co. Fe. (su delega di Vi.) e l’avvocato dello Stato St. Me..
1 IL GIUDIZIO DI I GRADO
1.1. La società B Pl. Gi. ltd, ora Gl. St. Ltd (di seguito denominata “B Pl.”), ha impugnato la sentenza 22 dicembre 2011 n. 10078, con la quale il TAR per il Lazio, sez. II, ha accolto in parte il suo ricorso instaurativo del giudizio, ha rigettato per il resto il medesimo ricorso, ed ha inoltre in parte rigettato e in parte dichiarato inammissibile il ricorso per motivi aggiunti successivamente proposto.
Tali ricorsi erano stati proposti:
– il primo, per ottenere, tra l’altro, l’annullamento del decreto interdirigenziale del Direttore dell’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato (AAMS) 28 giugno 2011, recante la determinazione dei requisiti delle società concessionarie del gioco pubblico non a distanza e degli amministratori delle stesse; inoltre, viene richiesto un risarcimento del danno, quantificato in Euro 500 milioni, riferito al mantenimento della concessione;
– il secondo, per ottenere, tra l’altro, l’annullamento del bando di gara per l’affidamento in concessione della realizzazione e conduzione della rete per la gestione telematica del gioco lecito, mediante apparecchi da divertimento e intrattenimento.
1.2. La società odierna appellante innanzi al Consiglio di Stato:
– premette di essere concessionaria dell’AAMS per “l’attivazione e la conduzione operativa della rete per la gestione telematica del gioco lecito mediante apparecchi da divertimento ed intrattenimento nonché delle attività connesse”, in virtù di procedura ad evidenza pubblica avviata sulla base dell’art. 14 bis, comma 4, DPR n. 640/1972;
– precisa di avere aderito alla facoltà di cui al d.l. n. 39/2009 (conv. in l. n. 77/2009), riconosciuta agli operatori AAMS, consistente nell’attivazione della sperimentazione ed avvio a regime di sistemi di gioco costituiti dal controllo remoto del gioco attraverso videoterminali, a fronte della possibilità di ottenere, nell’ambito delle procedure di rinnovo delle concessioni, il diritto alla prosecuzione delle concessioni senza soluzione di continuità;
– espone che la l. n. 220/2010 ha introdotto disposizioni relative ai rapporti concessori sia in essere sia da costituire: a) prevedendo l’aggiornamento dello schema tipo di concessione accessiva alla concessione per l’esercizio e la raccolta non a distanza dei giochi pubblici; b) stabilendo i requisiti minimi per la partecipazione alla selezione e gli obblighi da inserire nelle convenzioni; c) prevedendo la sottoscrizione di un atto di integrazione della convenzione accessiva alla concessione entro 180 giorni della entrata in vigore della legge, al fine di adeguarne i contenuti alle nuove prescrizioni. A seguito di tale legge, sono stati adottati gli atti conseguenti, in primis il decreto interdirigenziale 28 giugno 2011, impugnato con il ricorso introduttivo;
– deduce tra l’altro, con il ricorso introduttivo, che la legge n. 220/2010 – nella parte in cui impone, nell’ambito di consolidati rapporti concessori, ulteriori obblighi privi di ragionevolezza – contrasterebbe con le disposizioni del Trattato Ce che prescrivono il massimo accesso al mercato e l’abbattimento degli ostacoli al libero sviluppo delle prestazioni di beni e servizi. Le norme contestate (art. 1, co. 77, 78 e 79) andrebbero quindi disapplicate in quanto introducono un irragionevole restringimento della soglia di accesso allo svolgimento delle attività concessorie e della concorrenza senza che tali limitazioni trovino corrispondenza in rilevanti interessi dell’Amministrazione;
– con il ricorso per motivi aggiunti, impugna il bando di gara per l’affidamento in concessione della realizzazione della conduzione della rete per la gestione telematica del gioco lecito mediante apparecchi da divertimento e intrattenimento, ivi compresi il capitolato d’oneri, il capitolate tecnico e lo schema di convenzione, nonché l’atto di approvazione dello schema di atto di convenzione. Nel richiamare il contenuto del ricorso introduttivo del giudizio, la ricorrente (attuale appellante) precisa come l’AAMS abbia indetto una nuova gara per l’affidamento in concessione dei servizi inerenti la realizzazione e conduzione della rete per la gestione telematica del gioco lecito, alla quale gara essa stessa deve partecipare al fine di ottenere la prosecuzione della concessione, cui ha invece diritto in forza delle disposizioni normative che ne assicurano la continuità.
1.3. Tanto precisato in ordine alla definizione del thema decidendum in I grado, la sentenza conclusiva del relativo giudizio, impugnata innanzi a questo Consiglio di Stato, ha affermato, in particolare:
– “le norme denunciate di contrasto con i principi comunitari di libertà di stabilimento, di libera concorrenza, di libera prestazione di servizi e di libera circolazione di capitali, ineriscono ad un particolare settore, ovvero quello dei giochi pubblici, rispetto al quale sussiste il monopolio statale, che è oggetto, secondo la legislazione vigente, di concessioni del servizio pubblico del gioco”;
– tali concessioni, “che costituiscono una species delle concessioni di servizi ed hanno ad oggetto una materia riservata allo Stato, possono dunque essere disciplinate in modo tale da perseguire prevalenti interessi pubblici e generali, di tutela dell’ordine pubblico, dei consumatori e della buona fede pur dovendo farsi ricadere nel raggio d’applicazione del Trattato UE e, in particolare, delle disposizioni che vietano qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalità, di quelle relative alla libera circolazione delle merci, alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi”, nonché dei principi di non discriminazione, trasparenza, parità di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalità;
– “il settore dei giochi pubblici, in ragione degli interessi coinvolti (obiettivi di ordine pubblico, di tutela dei consumatori, di prevenzione della frode), ma anche in considerazione del suo significativo valore economico, richiede che le dinamiche competitive si sviluppino ad opera di soggetti caratterizzati da onorabilità e solidità economico-finanziaria, in modo da prevenire l’esercizio delle attività di gioco per fini criminali o fraudolenti e tener conto dell’impatto del settore sulle entrate dello Stato”;
– con la legge n. 220/2010, vengono introdotte “disposizioni di principio inerenti i requisiti che i concessionari debbono possedere – sia quelli da selezionare in sede di procedura aperta, sia quelli con concessioni già in essere – al fine di rafforzare sia la solidità economico-finanziaria dei concessionari che i profili di onorabilità ed affidabilità, tenuto conto del rilevante valore economico delle attività connesse con il gioco, che impone di apprestare un efficace sistema di tutela per prevenirne l’esercizio in maniera fraudolenta o per fini criminali, nella considerazione della diffusione del gioco irregolare e del pericolo di infiltrazione della criminalità organizzata, nonché a tutela dei consumatori”;
– ne consegue che “l’attività di raccolta di giochi, scommesse e concorsi pronostici, riservata ex lege allo Stato, in quanto integrante un servizio pubblico suscettibile di concessione a terzi, ben può, conseguentemente, conoscere limitazioni all’esercizio di impresa e di autorganizzazione imprenditoriale, nei ricordati limiti della ragionevolezza e proporzionalità e fermo restando il divieto di discriminazione, stante la preminenza degli interessi pubblici sottostanti”;
– nel caso di specie, non sono quindi configurabili le denunciate violazioni del Trattato CE. Ciò in quanto,“riconosciuta… la corrispondenza tra le previsioni recate dalle contestate norme con rilevanti interessi pubblici sottesi alle concessioni di pubblici esercizi di gioco e scommessa, il denunciato restringimento della soglia di accesso allo svolgimento delle attività concessorie non si pone in contrasto con i richiamati principi comunitari in quanto lo stesso prescinde dalla nazionalità dei soggetti selezionati o da selezionare, essendo i nuovi requisiti richiesti in ugual misura in capo a tutti i soggetti con i quali instaurare o proseguire un rapporto di tipo concessorio ed essendo i nuovi obblighi vincolanti per tutti i soggetti appartenenti agli Stati membri, cosicché nessuna discriminazione viene perpetrata, né il restringimento della platea dei soggetti in possesso dei richiesti requisiti ed in grado di far fronte ai previsti obblighi regolanti il rapporto concessorio può ritenersi costituire una irragionevole limitazione della concorrenza, trovando tale innalzamento della soglia di idoneità ad assumere la veste di concessionario ampia e legittima giustificazione nei ricordati motivi di interesse pubblico, ritenuti dalla giurisprudenza comunitaria ampiamente idonei a fissare elevati livelli di protezione attraverso restrizioni proporzionali ai fini perseguiti”;
– “quanto alla denunciata violazione dei principi di affidamento e di certezza del diritto, per avere la società ricorrente aderito alla facoltà, di cui al decreto legge n. 39 del 2009, convertito in legge con legge n. 77 del 2009, riconosciuta agli operatori del settore concessionari di AAMS, consistente nell’attivazione della sperimentazione ed avvio a regime di sistemi di gioco costituiti dal controllo remoto del gioco attraverso videoterminali a fronte della possibilità di ottenere, per come previsto dall’art. 21, comma 7, del Decreto legge n. 78 del 2009, nell’ambito delle procedure di rinnovo delle concessioni, il diritto alla prosecuzione delle concessioni senza soluzione di continuità,… il richiamato art. 21, comma 7, prevede, per garantire l’esito positivo della concreta sperimentazione e dell’avvio a regime di sistemi di gioco costituiti dal controllo remoto del gioco attraverso videoterminali di cui al cd. decreto legge Abruzzo, l’indizione delle procedure occorrenti per un nuovo affidamento in concessione della rete per la gestione telematica del gioco, stabilendo l’affidamento della concessione agli attuali concessionari che ne abbiano fatto richiesta entro il 20 novembre 2009 e che siano stati autorizzati all’installazione dei videoterminali, con conseguente prosecuzione della stessa senza alcuna soluzione di continuità. Il descritto quadro normativo ha trovato applicazione nell’epoca di vigenza dello stesso anche nei confronti della ricorrente, la quale si è avvalsa delle relative previsioni, senza che possa tuttavia ritenersi l’insorgenza, sulla base delle indicate previsioni… di un diritto al rinnovo ex lege dell’affidamento sulla base dei soli requisiti all’epoca previsti, da ritenere immodificabili, contrastando tale ricostruzione con i principi fondamentali dell’ordinamento nazionale e comunitario, avuto particolare riguardo a quelli che governano le procedure di affidamento dei servizi pubblici che, come già dianzi illustrato, debbono avvenire nel rispetto dei principi di non discriminazione, di pubblicità e di trasparenza”.
1.4. Chiarite (e negativamente risolte per la ricorrente), le questioni inerenti il paventato contrasto delle norme della l. n. 220/2010 con i principi comunitari e con gli artt. 3 e 41 Cost., la sentenza ha esaminato le censure rivolte specificamente ai provvedimenti attuativi adottati dall’AAMS (v. pagg. 52 – 72), accogliendo in parte i motivi di ricorso, rigettando quest’ultimo per il resto.
In particolare (pagg. 68 – 70), la sentenza non ha ritenuto sussistente la denunciata violazione delle finalità del cd. decreto Abruzzo (d.l. n. 39/2009), ancorché la ricorrente abbia sottolineato di “aver approntato onerose fideiussioni bancarie a garanzia dei propri obblighi di concessionaria e di aver investito 180 milioni di euro per prenotare 11.953 autorizzazioni alla concessione di videoterminali di cui al decreto Abruzzo facendo affidamento sulla prosecuzione dell’attività senza soluzioni di continuità, come previsto dal decreto Abruzzo e dal decreto direttoriale del 15 settembre 2009, alle medesime condizioni contrattuali fatto salvo unicamente il mantenimento dei requisiti soggettivi di partecipazione alla procedura aperta a tutti i concessionari, impegnando tutte le sue risorse”.
Secondo il giudice di I grado, vi è “assenza di un regime preferenziale garantito alla ricorrente sulla base della previgente normativa”, poiché “la normativa richiamata da parte ricorrente deve intendersi superata per effetto delle norme sopravvenute che hanno impresso un nuovo assetto al regime concessorio in materia di giochi pubblici, introducendo requisiti ed obblighi ritenuti maggiormente idonei ad assicurare il perseguimento di quegli interessi pubblici, ivi compresi quelli di ordine pubblico, più volte ricordati come intimamente connessi con il settore dei giochi”.
Quanto al ricorso per motivi aggiunti, la sentenza (v. pag. 72 – 79), lo ha in parte respinto e in parte dichiarato inammissibile, posto che risulta come “la società ricorrente abbia presentato domanda di partecipazione alla procedura di selezione, non ancora conclusasi”, dovendosi ricordare come “il momento in cui si concretizza l’interesse all’impugnazione degli atti di una procedura selettiva sorge con la lesione attuale della posizione del partecipante, la quale si verifica con la sua esclusione dalla selezione o dall’aggiudicazione a favore di altri”.
1.5. In definitiva il T.a.r. si è limitata ad annullare – con statuizione passata in giudicato – le clausole dell’atto integrativo dell’originario rapporto concessorio che avevano recepito le disposizioni normative diverse da quelle espressamente richiamate dall’art. 1, coma 79, della l. n. 220 del 2010.
2. IL RICORSO IN APPELLO
2.1. Avverso la decisione impugnata (della quale si è dovuto necessariamente riportare ampiamente il contenuto, ai fini della migliore comprensione del thema decidendum del grado di appello), la società B Pl. ha proposto una pluralità di motivi di impugnazione (riportati alle pagg. 17 – 95 del relativo ricorso):
a) violazione del principio di legittimo affidamento di rilevanza comunitaria e di buon andamento; eccesso di potere per illogicità manifesta e evidente sproporzione degli oneri gravanti sul concessionario; ciò in quanto, alla luce dell’art. 21, co. 7, d.l. n. 78/2009, lo Stato aveva assunto precisi impegni con i concessionari, senza creare un vulnus ai principi comunitari che regolano l’affidamento delle concessioni, poiché “non vi era bisogno di alcuna procedura di concessione per i preesistenti concessionari, posto che le future concessioni sarebbero state anch’esse affidate con una selezione aperta, ossia meramente idoneativa, che consentiva l’affidamento concessorio senza limitazione alcuna”; né la legge n. 220/2010 ha inteso abrogare l’art. 21, co. 7, cit.. In definitiva “era evidente il legittimo affidamento sul fatto che la convenzione sarebbe rimasta sostanzialmente immutata, fermo restando l’ingresso sul mercato di nuovi operatori”. Al contrario, per effetto degli atti impugnati, “consentendosi l’inserimento di illogici parametri di solidità patrimoniale, si è profondamente alterato il rispetto della par condicio, posto che i preesistenti concessionari si ritrovano (proprio a causa degli investimenti fatti) in una situazione di svantaggio rispetto ai nuovi competitori, che non essendosi indebitati col sistema bancario non hanno alcuna difficoltà a rispettare i nuovi (ancorché gravosi) parametri”. Peraltro, i parametri determinati dall’amministrazione non corrispondono alle generiche indicazioni della l. n. 220/2010, poiché “un conto è osservare che una norma di legge impone il rispetto di generici requisiti di solidità patrimoniale in capo ai concessionari di giochi pubblici, e tutt’altro conto è determinare i relativi parametri in maniera del tutto illogica e arbitraria” (v. pagg. 22 – 29 del ricorso in appello);
b) violazione del principio del legittimo affidamento; stravolgimento in pejus della convenzione di concessione; ciò in quanto:
b1) l’amministrazione “non ha ravvisato la non ha necessità di sottoporre il nuovo schema di convenzione al parere preventivo di legittimità del Consiglio di Stato”, posto che “lo schema tipo oggi approvato da AAMS è del tutto diverso da quello sottoposto al parere preventivo di legittimità del Consiglio di Stato (su cui è stato reso il parere n. 1299/07”;
b2) vi è vessatorietà ed iniquità della convenzione, che presenta “modifiche peggiorative” (v, pagg. 35 – 76 dell’appello, ove le stesse sono specificamente elencate);
c) incompatibilità delle norme della l. n. 220/2010 con i principi comunitari, che “impongono massimo accesso al mercato e l’abbattimento di qualunque ostacolo al libero sviluppo delle prestazioni di beni e servizi” (v. in part., pagg. 77 – 83);
d) illegittimità costituzionale delle norme della l. n. 220/2010, per contrasto con gli artt. 3 e 41 Cost.; poiché le stesse “comportano una incidenza diretta sul libero esercizio della libertà d’impresa restringendo pesantemente ed inammissibilmente la possibilità di accedere alla posizione di concessionario del gioco lecito, e comunque gravando i concessionari di intollerabili oneri aggiunti e prescrizioni eccedenti la natura ed il contenuto del rapporto”;
e) error in iudicando, con riferimento alla denunciata illegittimità del bando di gara e del capitolato d’oneri, poiché tali atti contengono “previsioni che astrattamente potrebbero condurre all’esclusione di BPl.” (v. pagg. 85 – 88 dell’appello).
In definitiva, l’appellante “non intende sottoscrivere ed accettare una nuova convenzione di concessione fortemente peggiorativa e vessatoria, avendo ricevuto rassicurazioni dallo Stato Italiano che effettuando un certo rilevantissimo investimento da ammortizzare negli anni futuri, l’attuale convenzione sarebbe proseguita senza soluzione di continuità, sia pur permettendo l’ingresso di nuovi competitors”.
2.2. Si sono costituiti nel giudizio di II grado il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato, che hanno concluso per la inammissibilità e, comunque, il rigetto dell’appello, stante la sua infondatezza.
In particolare, le amministrazioni appellate hanno dedotto:
a) l’inammissibilità dell’appello, in quanto caratterizzato da mera riproposizione dei motivi dei ricorsi proposti in I grado e, relativamente alla mancata impugnazione di clausole del bando immediatamente lesive, la sua infondatezza, dovendosi confermare il difetto di interesse – per tale parte – del ricorso per motivi aggiunti;
b) quanto all’indebitamento della società appellante, derivante dall’acquisto dei diritti di installazione VTL e che oggi non le consentirebbe di sostenere nuove e più onerose garanzie patrimoniali, che tale evenienza “non costituiva assolutamente un obbligo bensì una facoltà; ben potevano essere acquistati i diritti di installazione VTL in numero inferiore a quello massimo, con conseguente minor indebitamento nei confronti del sistema bancario”.
3. LA SENTENZA NON DEFINITIVA N. 4371/2013 DEL CONSIGLIO DI STATO
3.1. Con sentenza 2 settembre 2013 n. 4371 – nei cui confronti è stato proposto ricorso per Cassazione dichiarato inammissibile dalla sentenza delle Sezioni unite n. 18216 del 17 settembre 2015 – questo Consiglio di Stato ha (parzialmente) accolto l’appello proposto dalla società B Pl., nei sensi e limiti esposti in motivazione, e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, ha parzialmente accolto il ricorso instaurativo del giudizio di I grado ed il ricorso per motivi aggiunti; ha rigettato, viceversa, la domanda di risarcimento del danno.
3.2. Il Collegio ha innanzi tutto richiamato la normativa applicabile al rapporto concessorio nell’ambito della gestione dei giochi leciti (art. 14 bis, co. 4, DPR 26 ottobre 1972 n. 640; art. 12 d.l. 28 aprile 2009 n. 39, conv. in l. 24 giugno 2009 n. 77, art. 21 d.l. 1 luglio 2009 n. 78, conv. in l. 3 agosto 2009 n. 102; art. 1, commi 77, 78 e 79 l. 13 dicembre 2010 n. 220; art. 24, co. 25, d.l. 6 luglio 2011 n. 98, conv. in l. 15 luglio 2011 n. 111).
3.3. Tanto premesso, la sentenza ha così deciso:
a) la legge n. 220/2010, ed in particolare il suo art. 1, commi 77, 78 e 79 non hanno affatto inteso abrogare la disciplina previgente. Al contrario, occorre ritenere che tali disposizioni, nel delineare un nuovo quadro normativo, presuppongono al tempo stesso la vigenza di disposizioni preesistenti che hanno disciplinato il rapporto concessorio in materia di giochi. Ciò comporta che tale nuovo quadro normativo deve essere reso necessariamente compatibile con quanto insorto (ed eventualmente “consolidatosi”) in base della disciplina previgente, e segnatamente sulla base dei decreti legge nn. 39 e 78 del 2009;
b) ciò comporta che – contrariamente all’impostazione seguita dalla sentenza appellata – non può procedersi alla verifica di legittimità degli atti emanati sulla base della l. n. 220/2010, prescindendo dall’esame (o ritenendolo secondario) delle posizioni giuridiche eventualmente sorte e consolidatesi sulla base dei dd. ll.. nn. 39 e 78 del 2010. Anzi, proprio la successione di leggi nel tempo – escludendosi che la successiva, che introduce una disciplina di carattere generale applicabile de futuro, incida su quanto eventualmente sorto sulla base della normativa precedente – comporta che il punto centrale del thema decidendum risulta consistere nella verifica della esatta posizione giuridica dei concessionari che hanno aderito a quanto previsto dall’art. 21, co. 7, d.l. n. 78/2009;
c) l’art. 21 d.l. n. 78/2009, lungi dal configurarsi come norma di disciplina di aspetti specifici e/o marginali del settore della raccolta dei giochi: per un verso, introduce una disciplina generale della gestione della raccolta dei giochi, affermando che tale attività “è sempre affidata in concessione attribuita, nel rispetto dei principi e delle regole comunitarie e nazionali, di norma ad una pluralità di soggetti scelti mediante procedure aperte, competitive e non discriminatorie” (comma 1), e ciò al fine di “garantire la tutela di preminenti interessi pubblici”; per altro verso, dispone l’avvio delle “procedure occorrenti per conseguire tempestivamente l’aggiudicazione della concessione”, tenuto conto della “prossima scadenza della vigente concessione per l’esercizio di tale forma di gioco” (comma 1, secondo periodo); per altro verso ancora (e nell’ambito del quadro generale ora delineato), dispone l’avvio delle “procedure occorrenti per un nuovo affidamento in concessione della rete per la gestione telematica del gioco lecito” (art. 21, co. 7, alinea, d.l. n. 78/2009), e ciò al fine di “garantire l’esito positivo della concreta sperimentazione e dell’avvio a regime di sistemi di gioco costituiti dal controllo remoto del gioco attraverso videoterminali”, di cui all’art. 12, co. 1, lett. l) d.l. n. 39/2009; infine, e per pervenire all’appena citato “nuovo affidamento”, dispone due distinte “modalità” (in ambedue le ipotesi a fronte del versamento di 15.000 euro per videoterminale e nei limiti del 14% del numero di nulla osta già posseduti: art. 12, co. 1, lett. l), n. 4 d.l. n. 39/2009; art. 21, co. 7, lett. b) d.l. n. 78/2009); 1) l’“affidamento delle concessioni agli attuali concessionari che ne facciano richiesta entro il 20 novembre 2009 e che siano stati autorizzati all’istallazione dei videoterminali, con conseguente prosecuzione della stessa senza alcuna soluzione di continuità” (art. 21, co. 7, lett. a) d.l. n. 78/2009) 2) l’“affidamento della concessione ad ulteriori operatori di gioco, nazionali e comunitari”, selezionati sulla base di requisiti definiti dall’amministrazione “in coerenza con quelli già richiesti e posseduti dagli attuali concessionari” (art. 21, co. 7, lett. b) d.l. n. 78/2009);
d) il legislatore, con l’art. 21 d.l. n. 78/2009, ha voluto disporre una speciale disciplina delle procedure “occorrenti per un nuovo affidamento in concessione della rete per la gestione telematica del gioco lecito”, al fine di garantire la particolare sperimentazione di cui all’art. 12, co. 1, lett. l), più volte citato. Tali procedure definiscono una sorta di “sistema binario”, dove ulteriori soggetti – selezionati in base a procedure aperte – si affiancano ai concessionari già presenti, laddove questi decidano di avvalersi della facoltà di presentare domanda di installazione di videoterminali, pagando la somma prevista ex lege per ciascuno di questi ed in tal modo ottenendo la “conseguente prosecuzione” della concessione “senza alcuna soluzione di continuità”.
e) il “sistema binario”, quindi, così come prevede due tipologie di concessionari, prevede corrispondentemente, due “tipi” di concessione: la prima, quella dei preesistenti concessionari, che prosegue “senza alcuna soluzione di continuità”, una volta che questi abbiano richiesto e siano stati autorizzati all’istallazione dei videoterminali (ed abbiano pagato gli importi previsti); la seconda, quella dei nuovi concessionari. Ambedue le concessioni, e cioè la precedente che “prosegue” (recte: che continua ad avere efficacia oltre il termine di scadenza per essa previsto) e la nuova concessione, acquisita per effetto dell’aggiudicazione, devono avere la medesima efficacia temporale, proprio perché l’art. 21, co. 7, costruisce un sistema binario, di sostanziale parificazione dei concessionari, e ciò, inevitabilmente, anche in relazione alla durata della concessione medesima;
f) in definitiva, il significato da dare alla prevista “prosecuzione” della convenzione “senza alcuna soluzione di continuità”, deve essere quello di attribuire alla concessione ed alla convenzione in essere – qualora siano intervenuti i presupposti normativamente previsti – un termine di efficacia aggiuntivo, pari a quello delle nuove concessioni attribuite, escludendosi che il concessionario preesistente – una volta che abbia ottenuto le autorizzazioni richieste e versato l’importo dovuto – sia tenuto a partecipare ad una nuova gara per il (ri)affidamento della concessione in essere.
g) alla luce di quanto esposto, deve convenirsi con l’appellante, laddove afferma (primo motivo), al fine di illustrare l’illegittimità degli atti impugnati, che essa “si è ritrovata costretta a partecipare alla nuova procedura di selezione” (pag. 14 app.), mentre, ai sensi dell’art. 21, co. 7, “non vi era bisogno di alcuna procedura di selezione per i preesistenti concessionari” (pag. 18) e che la legge n. 220/2010 non ha mai “inteso abrogare” l’art. 21, co. 7”; ovvero dove illustra l’illegittimità della imposizione di una convenzione peggiorativa, a fronte di un investimento effettuato confidando nel fatto che “l’attuale convenzione sarebbe proseguita senza soluzione di continuità, sia pur permettendo l’ingresso di nuovi competitors” (pag. 89).
4. L’ORDINANZA DI RIMESSIONE ALLA CORTE COSTITUZIONALE
4.1. Definito parzialmente il giudizio con la sentenza n. 4371/2013, il Collegio, con ordinanza 23 settembre 2013 n. 4681, hasollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, co. 79, l. n. 220/2010.
4.2. Nella sentenza n. 4371/2013 si è a tal fine affermato:
“Da ultimo, il Collegio deve porsi – in riferimento al secondo, terzo e quarto motivo di appello (sub lett. b), c) e d) dell’esposizione in fatto) – il problema della legittimità degli atti con i quali si impone all’appellante la sottoscrizione di uno “schema di atto integrativo” alla convenzione di concessione.
Il Collegio non ignora che la sentenza impugnata ha accolto il ricorso instaurativo del giudizio di I grado “limitatamente alle indicate previsioni di cui allo schema di atto integrativo della convenzione di concessione, nella parte in cui impone ai concessionari, in costanza di concessione, requisiti ed obblighi che l’art. 1, commi 78 e 79, della legge n. 220 del 2010 non prevede come di immediata applicazione” (v. pag. 78 sent. appellata). Tuttavia:
– per un verso, l’annullamento risulta limitato alle sole previsioni non definite come “di immediata applicazione”, con ciò legittimando l’imposizione di “requisiti ed obblighi”, invece previsti come immediatamente introducibili;
– per altro verso, fa salva l’applicazione degli stessi “alle future concessioni”, nel presupposto – ora non confermato dalla presente decisione – della necessità di una nuova concessione/convenzione anche da parte dell’appellante.
L’atto integrativo della convenzione, comportante l’introduzione di nuovi requisiti ed obblighi, trova la propria previsione nell’art. 1, comma 79, l. n. 220/2010, che prevede:
“Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, i soggetti concessionari ai quali sono già consentiti l’esercizio e la raccolta non a distanza dei giochi pubblici sottoscrivono l’atto di integrazione della convenzione accessiva alla concessione occorrente per adeguarne i contenuti ai principi di cui al comma 78, lettera b), numeri 4), 5), 7), 8), 9), 13), 14), 17), 19), 20), 21), 22), 23, 24), 25) e 26)”
Il Collegio ritiene rilevante (in quanto comunque applicabile alle concessioni in essere), ai fini della completa definizione del presente giudizio, e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, co. 79, l. n. 220/2010….”, nonché dell’art. 1, commi 77 e 78, in quanto richiamati dal citato comma 79, e resi applicabili alle concessioni in essere.”
4.3. Con l’ordinanza di rimessione n. 4681/2013, richiamato quanto già affermato in tema di rilevanza nella coeva sentenza n. 4371/2013, si è esposto:
“In forza del comma 79 dell’art. 1, l. n. 220/2010, viene prevista la nuova introduzione di requisiti ed obblighi a carico, oltre che dei nuovi concessionari, anche, verosimilmente, alle concessioni in essere.
Orbene, mentre la prima ipotesi risulta non più attuale, per effetto della citata sentenza n. 4371/2013 – poiché si è dichiarata la non necessità di una nuova concessione/convenzione, nell’ipotesi in cui versa la società appellante – al contrario, la rilevanza della questione appare evidente con riferimento alla seconda delle ipotesi richiamate.
E ciò in quanto, con apposito atto integrativo, sembra possibile imporre – alla luce dell’art. 1, comma 79 – nuovi requisiti ed obblighi a carico dei concessionari per i quali è stata accertata la “prosecuzione” della concessione, ai sensi dell’art. 21, co. 7, d.l. n. 78/2009.
Al contrario, questo Consiglio di Stato… ha ritenuto che i concessionari già presenti, laddove decidano di avvalersi della facoltà di presentare domanda di istallazione di videoterminali, pagando la somma prevista ex lege per ciascuno di questi in tal modo ottengono la “conseguente prosecuzione” della concessione “senza alcuna soluzione di continuità”.
Secondo questo giudice, il significato da dare alla prevista “prosecuzione” della convenzione “senza alcuna soluzione di continuità”, deve essere quello di attribuire alla concessione ed alla convenzione in essere – qualora siano intervenuti i presupposti normativamente previsti (art. 21, co. 7, d.l. n. 78/2009)- un termine di efficacia aggiuntivo, pari a quello delle nuove concessioni attribuite, escludendosi che il concessionario preesistente – una volta che abbia ottenuto le autorizzazioni richieste e versato l’importo dovuto – sia tenuto a partecipare ad una nuova gara per il (ri)affidamento della concessione in essere.
Per un verso, dunque, sulla base della preesistente normativa, il concessionario ha acquisito un titolo alla prosecuzione del rapporto concessorio (nei sensi innanzi chiariti); per altro verso, il successivo art. 1, co. 79 l. n. 220/2010, introduce nuovi requisiti ed obblighi (di tipo soggettivo e gestionale), tali da incidere sulla effettiva possibilità di prosecuzione nel rapporto concessorio.
Ne consegue che questo giudice, ai fini della verifica di legittimità degli atti amministrativi con i quali i predetti requisiti ed obblighi vengono imposti (anche) al concessionario in regime di prosecuzione, non può che attendere – in quanto rilevante e dirimente – il giudizio della Corte Costituzionale sulla legittimità costituzionale dell’art. 1, co. 79, l. n. 220/2010, e dei precedenti commi 77 e 78, in quanto da essa richiamati e per la parte in cui risultano applicabili ai concessionari che si siano avvalsi della facoltà di cui all’art. 21, co. 7, d.l. n. 78/2009”.
Attesa la rilevanza, questo Consiglio di Stato ha altresì ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale delle norme innanzi citate, precisando:
“Tale scrutinio, secondo questo giudice remittente, deve essere effettuato con riferimento agli articoli 3, 41, 42 della Costituzione, sotto un duplice profilo:
– in primo luogo, con riferimento alla possibilità per il legislatore di introdurre, a fronte di una posizione “consolidata” (nei sensi sopra precisati), di un soggetto quale concessionario della pubblica Amministrazione – e ciò per effetto di una precisa norma primaria, che ha comportato anche a carico di tale soggetto, un esborso non irrilevante di somme di denaro – una nuova disciplina recante nuovi requisiti ed obblighi, tali da poterne pregiudicare la posizione di concessionario;
– in secondo luogo, come prospettato dalla stessa società appellante, con riferimento al fatto che “le norme introdotte con la l. n. 220/2010comportano una incidenza diretta sul libero esercizio della libertà di impresa restringendo pesantemente ed inammissibilmente la possibilità di accedere alla posizione di concessionario del gioco lecito e comunque gravando i concessionari di intollerabili oneri aggiunti e prescrizioni eccedenti la natura e il contenuto del rapporto” (pag. 83 app.).
Quanto al primo aspetto, questo Collegio non ignora che il principio di irretroattività della legge, sancito dall’art. 11 delle disposizioni preliminari al codice civile, ha ricevuto “copertura” dalla Costituzione solo con riferimento alle leggi penali.
Tuttavia, la stessa giurisprudenza della Corte Costituzionale ha insegnato come la (pur possibile) retroattività (ovvero applicazione ex novo di una normativa sopravvenuta a situazioni preesistenti e diversamente regolate) incontri un limite nel principi di eguaglianza e di ragionevolezza, stigmatizzandosi norme di legge che incidono in modo irragionevole sul legittimo affidamento nella sicurezza giuridica, che costituisce elemento fondamentale dello Stato di diritto (Corte Cost., 11 giugno 2010 n. 209).
A ciò occorre aggiungere, nel caso di specie, che l’incidenza sulla posizione di concessionario “in prosecuzione” interviene sacrificando una posizione per il conseguimento della quale lo stesso ha esercitato una facoltà “a titolo oneroso”, senza che la nuova disciplina preveda (di qui la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale con riferimento all’art.42 Cost.), un qualche indennizzo per il sacrificio imposto.
E’ appena il caso di osservare che, anche nell’ordinaria disciplina del rapporto giuridico nascente da un provvedimento di concessione, è ben possibile la revoca di tale provvedimento per sopravvenute ragioni di pubblico interesse. Ma; in tali casi, l’art. 21- quinquies, comma 1-bis, della legge 7 agosto 1990 n. 241, prevede la necessità di indennizzo determinandone la misura”.
Pertanto, il Consiglio di Stato ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 79, della legge 13 dicembre 2010 n. 220, nonché dei commi 77 e 78 del medesimo art. 1, in quanto richiamati dal comma 79 e da questo resi applicabili ai concessionari che si sono avvalsi della facoltà prevista dall’art. 21, comma 7, d.l. 1 luglio 2009 n. 78, conv. in l. 3 agosto 2009 n. 102; per violazione degli articoli 3, 41, primo comma, 42, terzo comma, della Costituzione.
5. LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE N. 56/2015
La Corte Costituzionale, con sentenza 31 marzo 2015 n. 56, ha ritenuto non fondata la prospettata questione di legittimità costituzionale, affermando:
a) quanto alla prospettata violazione dell’art. 3 Cost., che “il valore del legittimo affidamento riposto nella sicurezza giuridica trova sì copertura costituzionale nell’art. 3 Cost., ma non già in termini assoluti e inderogabili. Per un verso, infatti, la posizione giuridica che dà luogo a un ragionevole affidamento nella permanenza nel tempo di un determinato assetto regolatorio deve risultare adeguatamente consolidata, sia per essersi protratta per un periodo sufficientemente lungo, sia per essere sorta in un contesto giuridico sostanziale atto a far sorgere nel destinatario una ragionevole fiducia nel suo mantenimento. Per altro verso, interessi pubblici sopravvenuti possono esigere interventi normativi diretti a incidere peggiorativamente anche su posizioni consolidate, con l’unico limite della proporzionalità dell’incisione rispetto agli obiettivi di interesse pubblico perseguiti.”.
Secondo la Corte “A maggior ragione ciò vale per rapporti di concessione di servizio pubblico, come quelli investiti dalle norme censurate, nei quali, alle menzionate condizioni, la possibilità di un intervento pubblico modificativo delle condizioni originarie è da considerare in qualche modo connaturata al rapporto fin dal suo instaurarsi. E ancor più, si può aggiungere, ciò deve essere vero, allorché si verta in un ambito così delicato come quello dei giochi pubblici, nel quale i valori e gli interessi coinvolti appaiono meritevoli di speciale e continua attenzione da parte del legislatore.
Proprio in ragione dell’esigenza di garantire un livello di tutela dei consumatori particolarmente elevato e di padroneggiare i rischi connessi a questo settore, la giurisprudenza europea ha ritenuto legittime restrizioni all’attività (anche contrattuale) di organizzazione e gestione dei giochi pubblici affidati in concessione, purché ispirate da motivi imperativi di interesse generale, quali sono certamente quelli evocati dall’art. 1, comma 77, della legge n. 220 del 2010 (contrasto della diffusione del gioco irregolare o illegale in Italia; tutela della sicurezza, dell’ordine pubblico e dei consumatori, specie minori d’età; lotta contro le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore), e a condizione che esse siano proporzionate (sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, 30 giugno 2011, in causa C-212/08)…
- In definitiva, i pesi imposti dalle norme denunciate non solo sono connaturali al regime di concessione del gioco pubblico, che deve tutelare plurimi interessi generali, ma costituiscono anche, nel caso di specie, una misura minima di ripristino della par condicio dei gestori, del tutto giustificata dalla situazione di vantaggio del concessionario «preesistente» che, avendo aderito alla fase di sperimentazione e avvio a regime di sistemi di gioco costituiti dal controllo remoto del gioco attraverso videoterminali, non ha dovuto sottoporsi alla gara per il nuovo affidamento.”
b) quanto alla prospettata violazione dell’art. 41, comma primo, Cost., che
“nella specie, si versa in un caso di attività economica svolta dal privato in regime di concessione di un servizio pubblico riservato al monopolio statale e connotato dai preminenti interessi generali menzionati nel comma 77 dell’art. 1 della legge n. 220 del 2010. Al regime concessorio, in questa materia, è dunque connaturale l’imposizione di penetranti limitazioni della libertà di iniziativa economica, che rispondono alla protezione di tali interessi. E tanto più lo è in un settore che, per le ragioni già indicate, presenta profili di delicatezza del tutto particolari, connessi alla rischiosità e ai pericoli propri della peculiare attività economica soggetta al regime di concessione.
Le norme denunciate sono dichiaratamente rivolte a contemperare gli interessi privati dei concessionari con i prevalenti interessi pubblici coinvolti nel settore dei giochi e delle scommesse e a migliorarne la tutela, senza che sia dato di rinvenire elementi di arbitrarietà nella loro individuazione. Al raggiungimento di questi obiettivi sono funzionali infatti anche elevati requisiti di onorabilità, di affidabilità e di solidità economico-finanziaria dei concessionari, in considerazione del rilevante valore economico delle attività connesse con il gioco e della conseguente necessità di prevenirne l’esercizio in maniera fraudolenta o per fini criminali.
Le nuove prescrizioni introdotte dalle norme denunciate, che richiedono il mantenimento di un più elevato indice di solidità economico-finanziaria dell’impresa del concessionario e il suo rispetto per l’intera durata della concessione, o che introducono clausole penali e meccanismi volti a rendere effettive le cause di decadenza dalla concessione, non sono pertanto né palesemente incongrue rispetto alle finalità individuate dal legislatore, né «eccedenti il contenuto e la natura del rapporto» o apportatrici di «intollerabili oneri aggiunti»», come assume il giudice a quo.”;
c) quanto alla prospettata violazione dell’art. 42, comma terzo, Cost, che
“Nel caso ora sottoposto all’esame della Corte, un fenomeno di ablazione reale non viene ipotizzato dal giudice a quo, e nemmeno è ipotizzabile con riferimento alle somme pagate dal concessionario per conseguire le autorizzazioni all’installazione dei videoterminali, giacché la supposta perdita totale o parziale del capitale investito (di cui l’ordinanza di rimessione non fornisce tuttavia alcun riscontro, a fronte del presumibile ammortamento dei relativi costi, come ha rilevato la difesa dello Stato) costituirebbe al più un’incidenza solo riflessa dei vincoli di gestione imposti dalle norme denunciate, e si collocherebbe, come tale, fuori dall’ambito di protezione della norma costituzionale.”.
6. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO SUCCESSIVAMENTE ALLE SENTENZE DELLA CORTE COSTITUZIONALE E DELLE SEZIONI UNITE DELLA CORTE DI CASSAZIONE
6.1. All’udienza pubblica di discussione del 4 febbraio 2016, la causa è stata riservata per la decisione previa richiesta del difensore della società appellante di stralciare il deposito tardivamente effettuato dalla difesa erariale.
6.2. L’eccezione di tardività è fondata.
Effettivamente la difesa erariale ha depositato in data 2 febbraio 2016 memoria difensiva e in data 19 gennaio 2016 documenti, in violazione dei termini perentori stabiliti dall’art. 73, co. 1, c.p.a.; a tanto consegue l’inutilizzabilità della produzione (cfr. ex plurimis Cons. Stato, Sez. V, n. 5642 del 2012; Sez. V, n. 3439 del 2012; Sez. V, n. 1058 del 2012).
7. L’ISTANZA DELL’APPELLANTE DI RINVIO PREGIUDIZIALE ALLA CORTE DI GIUSTIZIA UE
7.1. Il Collegio rileva che l’appellante ha proposto istanza affinché, in via pregiudiziale ed ai fini dell’accoglimento del proprio ricorso, gli atti vengano inviati alla Corte di Giustizia della Comunità Europea, ai sensi dell’art. 267 del Trattato FUE,con riferimento alla verifica della compatibilità con la normativa dell’Unione Europea dell’art. 1, commi 77, 78 e 79 l. n. 220/2010, nonché degli artt. 24 e 25 del d. l. n. 98/2011, conv. in l. n. 118/2011 (v. pag. 2 dell’appello).
Pur dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 56/2015, l’appellante ha ribadito l’istanza affinché questo Giudice valuti il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea dell’art. 1, co. 79, della l. n. 220/2010, nonché dei commi 77 e 78 del medesimo art. 1, in quanto richiamati dal comma 79 e da questo resi applicabili ai concessionari che si sono avvalsi della facoltà prevista dall’art. 21, comma 7, d.l. 1 luglio 2009 n. 78, conv. in l. 3 agosto 2009 n. 102 (v., in tali sensi, quanto esposto nella memoria dep. in data 27 novembre 2015, pp. 7 ss. e nella memoria del 19 gennaio 2016, pp. 4 ss.; nonché la reiterazione dell’istanza di rinvio pregiudiziale nella memoria di replica dep. in data 23 gennaio 2016).
7.2. In particolare, l’appellante chiede il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, perché valuti se l’art. 1, comma 78 della l. n. 220/2010 (richiamato dal successivo comma 79 e da questo reso applicabile anche ai concessionari preesistenti, come innanzi individuati, e tra i quali l’appellante)), osti con i principi desumibili dagli artt. 35, 43, 49 e 56 del Trattato CE e con il generale principio del legittimo affidamento (v. memoria del 19 gennaio 2016, pp. 8-13).
E’ stato fatto riferimento, in particolare, ai principi relativi alla libertà di stabilimento (art. 43), alla libera prestazione dei servizi (art. 49) ed al divieto di restrizioni ai movimenti di capitali tra gli stati membri (art. 56), principi e disposizioni con le quali sembra porsi in contrasto l’art. 1, comma 78, lett. b), nn. 4, 8, 9, 17, 23, 25 della legge n. 220/2010.
Più in particolare, si è inteso evidenziare il possibile contrasto delle seguenti disposizioni dell’art. 1, co. 78, l. n. 220/2010:
a) lett. b) n. 4): “mantenimento, per l’intera durata della concessione, del rapporto di indebitamento entro un valore non superiore a quello stabilito con decreto interdirigenziale del Ministero dell’economia e delle finanze”;
b) lett. b) n. 8): “sottoposizione ad autorizzazione preventiva dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, a pena di decadenza dalla concessione, delle operazioni che implicano mutamenti soggettivi del concessionario, intendendosi per modifiche soggettive riguardanti il concessionario ogni operazione, posta in essere dal concessionario, di fusione, scissione, trasferimento dell’azienda, mutamento di sede sociale o di oggetto sociale, scioglimento della società, escluse tuttavia quelle di vendita o di collocamento delle azioni del concessionario presso un mercato finanziario regolamentato”;
c) lett. b) n. 9: “sottoposizione ad autorizzazione preventiva dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato delle operazioni di trasferimento delle partecipazioni, anche di controllo, detenute dal concessionario suscettibili di comportare, nell’esercizio in cui si perfeziona l’operazione, una riduzione dell’indice di solidità patrimoniale determinato con decreto interdirigenziale del Ministero dell’economia e delle finanze, fermo l’obbligo del concessionario, in tali casi, di riequilibrare, a pena di decadenza, il predetto indice, mediante aumenti di capitale ovvero altri strumenti od operazioni volti al ripristino dell’indice medesimo entro sei mesi dalla data di approvazione del bilancio”;
d) lett. b) n. 17: "destinazione a scopi diversi da investimenti legati alle attività oggetto di concessione della extraprofittabilità generata in virtù dell’esercizio delle attività di cui al numero 6) solo previa autorizzazione dell’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato”;
e) lett. b) n. 23: “definizione di sanzioni, a titolo di penali, a fronte di casi di inadempimento delle clausole della convenzione accessiva alla concessione imputabili al concessionario, anche a titolo di colpa; graduazione delle penali in funzione della gravità dell’inadempimento e nel rispetto dei principi di proporzionalità ed effettività della sanzioni”;
f) lett. b) n. 25: “previsione per il concessionario uscente, alla scadenza del periodo di durata della concessione, di proseguire nell’ordinaria amministrazione delle attività di gestione ed esercizio delle attività di raccolta del gioco oggetto di concessione fino al trasferimento della gestione e dell’esercizio al nuovo concessionario”.
7.3. Il Collegio rileva che la società ricorrente ha errato nella individuazione dei parametri normativi in relazione ai quali sollecitare il pronunciamento della Corte di giustizia in sede di rinvio pregiudiziale,perché ha fatto riferimento a disposizioni del Trattato CE ratione temporis inapplicabili.
In applicazione dei principi formulati dalla Corte di giustizia, Sezione IV, 18 luglio 2013, C-136/12 – secondo cui l’art. 267, 3° comma, Trattato FUE deve essere interpretato nel senso che spetta unicamente al giudice del rinvio determinare e formulare le questioni pregiudiziali vertenti sull’interpretazione del diritto dell’Unione che esso ritiene rilevanti ai fini della soluzione del procedimento principale – il Collegio riqualifica i parametri individuando negli articoli 26, 49, 56 e 63 del Trattato FUE e nell’art. 16 della Carta dei diritti fondamentali UE, le disposizioni sulle quali la Corte di giustizia sarà chiamata ad esercitare il proprio sindacato in sede di rinvio pregiudiziale.
8. LE RAGIONI DEL RINVIO PREGIUDIZIALE
8.1. La Corte Costituzionale ha rimesso alla valutazione di questo Giudice la verifica in concreto della legittimità dell’atto di integrazione della convenzione (e degli atti amministrativi che lo dispongono ed impongono ai concessionari), non avendo la Corte stessa ritenuto ciò precluso dalla preesistente posizione di concessionario, acquisita ai sensi del cd. “decreto Abruzzo” (d.l. n. 39/2009 conv. in l. n. 77/2009), ed affermata dalla sentenza di questo Consiglio di Stato n. 4371/2013, stante la legittimità costituzionale della normativa sottoposta al suo vaglio.
8.2. Sul punto Collegio rileva che le previsioni imposte con l’atto integrativo della convenzione -comportante l’introduzione dei nuovi requisiti ed obblighi dianzi illustrati – ferma ogni ulteriore e più approfondita valutazione della loro legittimità, si presentano prima facie come pedissequamente attuative di disposizioni nazionali che hanno superato il vaglio di costituzionalità, il che, ove positivamente riscontrato con la sentenza definitiva, in assenza della richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte UE, comporterebbe il rigetto dei motivi secondo, terzo e quarto dell’atto di appello..
8.3. Viceversa, nell’impostazione della parte ricorrente – che sottolinea di essere società di diritto inglese – si dovrebbe fare applicazione di una normativa nazionale, in ordine alla quale osterebbero – le disposizioni ed i principi desumibili dagli artt. 3, co. 1, lett. c), 43, 49 e 56 del Trattato CE.
In questa prospettiva, le disposizioni ora richiamate – imponendo prescrizioni in ordine alla concreta gestione dell’impresa (nn. 4, 17, 25), sottoponendo ad autorizzazione preventiva dei pubblici poteri operazioni che implicano mutamenti soggettivi del concessionario e di trasferimento delle partecipazioni, pena la perdita dello status di concessionario (nn. 8 e 9), imponendo unilateralmente sanzioni per il caso di inadempimento di clausole (n. 23) – sembrerebbero porsi come effettive limitazioni contrastanti con la libertà di stabilimento delle imprese nei paesi dell’Unione Europea, con la libera prestazione dei servizi e con il divieto di restrizioni ai movimenti di capitali tra gli stati membri.
8.4. E’ appena il caso di ricordare che la sentenza del TAR nella presente sede impugnata, ha già parzialmente accolto (con formazione del giudicato su questa parte della pronuncia), il ricorso instaurativo del giudizio di I grado “limitatamente alle indicate previsioni di cui allo schema di atto integrativo della convenzione di concessione, nella parte in cui impone ai concessionari, in costanza di concessione, requisiti ed obblighi che l’art. 1, commi 78 e 79, della legge n. 220 del 2010 non prevede come di immediata applicazione” (v. pag. 78 sent. TAR).
8.5. Il Collegio ritiene che, ai fini del decidere sui (residui) motivi di appello, ed anche alla luce di quanto affermato dalla Corte Costituzionale con la propria sentenza n. 56/2015, occorra, pertanto, verificare pregiudizialmente se l’art. 1, co. 78, della l. n. 220/2010 (come reso applicabile alla società appellante dal successivo art. 1, co. 79), osti con i principi e le disposizioni del Trattato FUE come sopra precisate, non senza evidenziare:
a) la particolarità del settore dei giochi pubblici, in ragione degli interessi coinvolti ed afferenti all’ordine pubblico, alla tutela dei consumatori ed alla prevenzione di frodi, che potrebbero comportare limitazioni ragionevoli ai principi su richiamati; occorre, infatti, ricordare che il citato art. 1, co. 79, l. n. 220/2010, prevede che “Entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, i soggetti concessionari ai quali sono già consentiti l’esercizio e la raccolta non a distanza dei giochi pubblici sottoscrivono l’atto di integrazione della convenzione accessiva alla concessione occorrente per adeguarne i contenuti ai principi di cui al comma 78, lettera b), numeri 4), 5), 7), 8), 9), 13), 14), 17), 19), 20), 21), 22), 23, 24), 25) e 26)”;
b) la peculiare situazione processuale che si è venuta a creare successivamente alla più volte menzionata sentenza della Corte costituzionale che ha vagliato la disciplina nazionale in riferimento a parametri costituzionali che, nella sostanza, coincidono coi parametri rivenienti nelle disposizioni del Trattato invocate dalla parte appellante (sul punto si vedano i parr. 4 – 6 della sentenza n. 56 del 2015).
8.6. Ritiene a questo punto il Collegio di dover anzitutto sollevare una questione pregiudiziale, ai sensi dell’art. 267 FUE sulla interpretazione dello stesso art. 267, par. 3, in ordine alla portata dell’«obbligo» di rinvio pregiudiziale. E ciò stante la particolarità della questione in esame, ancorché sia noto a questo Collegio quanto già affermato dalla Corte di Giustizia (v., in particolare, sent. 19 novembre 2009 in causa C-314/08),che ha ribadito la necessità di rinvio pregiudiziale della questione innanzi ad essa, qualora si prospetti violazione di norme o principi dell’ordinamento dell’Unione Europea, indipendentemente dal giudizio espresso sulla legge nazionale dalla Corte Costituzionale.
8.6.1. Si è detto della rilevanza della questione di interpretazione della compatibilità della normativa nazionale con le disposizioni del Trattato FUE, ai fini della definizione del presente giudizio.
Il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione Europea si renderebbe, quindi, necessario, da parte di questo Consiglio di Stato quale giudice di ultima istanza, alla luce di quanto affermato dalla consolidata giurisprudenza della stessa Corte di Giustizia (cfr. ex plurimis Sez. IV, 18 luglio 2013 cit. laddove essa precisa, par. 25, che: “… qualora non esista alcun ricorso giurisdizionale avverso la decisione di un giudice nazionale, quest’ultimo è, in linea di principio, tenuto a rivolgersi alla Corte ai sensi dell’articolo 267, terzo comma, TFUE quando è chiamato a pronunciarsi su una questione di interpretazione del predetto Trattato”).
In sintesi circa la portata dell’«obbligo» del giudice nazionale di ultima istanza di sollevare «pregiudiziale comunitaria», la Corte di giustizia ha chiarito che tale obbligo non sussiste se:
a) la questione di interpretazione di norme comunitarie non è pertinente al giudizio (vale a dire nel caso in cui la soluzione non possa in alcun modo influire sull’esito della lite);
b) la questione è materialmente identica ad altra già decisa dalla corte o comunque il precedente risolve il punto di diritto controverso;
c) la corretta applicazione del diritto comunitario può imporsi con tale evidenza da non lasciar adito a nessun ragionevole dubbio sulla soluzione da dare alla questione (c.d. teoria dell’atto chiaro, sul punto è sufficiente il richiamo alla sentenza capostipite della Corte del Lussemburgo 6 ottobre 1982, C-283/81, Ci.).
A stretto rigore, nel caso di specie, non ricorre alcuna di queste deroghe.
8.6.2. Non possono essere trascurati, poi, i seguenti ulteriori risvolti:
a) il mancato rinvio pregiudiziale in termini di responsabilità del giudice nazionale e dello Stato di appartenenza, atteso che, nell’ordinamento italiano, a fondamento di azioni di responsabilità civile nei confronti dei magistrati e dello Stato ai sensi della l. 117 del 1988 (come novellata dalla l. n. 18 del 2015) viene posta, fra l’altro, proprio l’asserita inosservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale (art. 2, co. 3-bis); del resto laddove si configuri un obbligo di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, la sua violazione è ritenuta dalla medesima Corte sanzionabile mediante la responsabilità degli Stati membri, che sono tenuti a risarcire i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto dell’Unione riconducibili ad organi giudiziari, e in particolare quando questi ultimi omettano di ottemperare all’obbligo di rinvio pregiudiziale (a partire da Corte giust. 30 settembre 2003, causa C-224/01, Ko.; successivamente, 13 giugno 2006, causa C-173/03, Tr.i de. Me.; 24 novembre 2011, causa C-379/10, Commissione europea c. Repubblica italiana);
b) la necessità di evitare che si configuri il possibile abuso degli strumenti processuali ad opera delle parti con richieste di rinvio pregiudiziale che, pur formalmente assentibili, nella sostanza tendono, come nel caso di specie, a superare una decisione del giudice costituzionale nazionale nonostante sia stata resa all’esito della valutazione di parametri di giudizio sostanzialmente omogenei rispetto a quelli invocati nella richiesta di rinvio pregiudiziale; dunque in violazione del divieto del ne bis in idem processuale e con la conseguente ulteriore lesione del principio di ragionevole durata del processo;
c) la necessità di vagliare, in sede di interpretazione dell’art. 267 Trattato FUE, le più mature acquisizioni elaborate dalla Corte EDU, in applicazione dell’art. 6 CEDU, circa la possibilità di configurare la responsabilità del giudice nazionale di ultima istanza, solo quando ometta di motivare sulle ragioni del diniego di rinvio (cfr. Corte europea dei diritti dell’uomo, 8 aprile 2014, Dh. c. Italia).
9. I QUESITI SOTTOPOSTI ALLA CORTE DI GIUSTIZIA
Tanto premesso, il Collegio ritiene di dover rimettere alla Corte di giustizia dell’Unione Europea le seguenti questioni pregiudiziali, ordinate logicamente, formulando i corrispondenti quesiti:
a) in via principale: se l’artt. 267, par. 3, del Trattato FUE possa essere interpretato nel senso che non sussiste l’obbligo incondizionato del giudice di ultima istanza di rinvio pregiudiziale di una questione di interpretazione del diritto europeo qualora, nel corso del medesimo giudizio,la Corte costituzionale abbia valutato la legittimità costituzionale della disciplina nazionale, nella sostanza, utilizzando gli stessi parametrinormativi di cui si chiede l’interpretazione alla Corte di giustizia, ancorché formalmente diversi perché rivenienti in norme della Costituzione e non dei Trattati europei;
b) in via subordinatarispetto al primo quesito, per il caso in cui la Corte risolva la questione di interpretazione dell’art. 267, par. 3, nel senso che sia obbligatorio il rinvio pregiudiziale: se le disposizioni ed i principi di cui agli articoli26 – Mercato interno -49 – Diritto di stabilimento – 56 – Libertà di prestazione dei servizi – 63 – Libertà di circolazione dei capitali – del Trattato FUE e 16 – Libertà d’impresa – della Carta dei diritti fondamentali UE,nonché il generale principio del legittimo affidamento (che “rientra tra i principi fondamentali dell’Unione”, come affermato dalla Corte di Giustizia con sentenza 14 marzo 2013, causa C-545/11), ostino alla adozione ed applicazione di una normativa nazionale (art. 1, co. 78, lett. b), nn. 4, 8, 9, 17, 23, 25, della legge n. 220/2010, che sancisce, anche a carico di soggetti già concessionari nel settore della gestione telematica del gioco lecito, nuovi requisiti ed obblighi per il tramite di un atto integrativo della convenzione già in essere (e senza alcun termine per il progressivo adeguamento).
10. ADEMPIMENTI DI SEGRETERIA
Ai fini della più completa decisione della Corte di Giustizia – in ossequio alle Raccomandazioni della Corte medesima 2012/C 338/01, relative alla presentazione di domande pregiudiziali – alla stessa deve essere trasmessa, a cura della Segreteria della Sezione, oltre a copia conforme all’originale della presente ordinanza, altresì copia dell’intero fascicolo di causa integrato dai seguenti documenti: sentenza di primo grado (T.a.r. per il Lazio, Sezione II, n. 10078 del 22 dicembre 2011), sentenza non definitiva di questa Sezione n. 4371 del 2 settembre 2013, sentenza della Corte costituzionale n. 56 del 31 marzo 2015, sentenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione n. 18216 del 17 settembre 2015.
11. SOSPENSIONE DEL GIUDIZIO
Nelle more della pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione Europea, si rende necessario disporre, ai sensi dell’art. 79, co. 1,c.p.a., la sospensione del presente processo, riservando alla sentenza definitiva ogni pronuncia in merito alle spese ed onorari di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quarta), pronunciando sull’appello proposto da B Pl. Gi. Ltd (n. 2407/2012 r.g.):
a) rimette alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione pregiudiziale indicata in motivazione;
b) ordina alla Segreteria della Sezione di trasmettere alla medesima Corte copia conforme all’originale della presente ordinanza, nonché copia integrale del fascicolo di causa inclusi i documenti indicati in motivazione;
c) dispone, nelle more della pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la sospensione del presente giudizio;
d) riserva alla sentenza definitiva ogni pronuncia in ordine alle spese ed onorari del presente giudizio.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 febbraio 2016 con l’intervento dei magistrati:
Vito Poli – Presidente
Fabio Taormina – Consigliere
Oberdan Forlenza – Consigliere, Estensore
Carlo Schilardi – Consigliere
Leonardo Spagnoletti – Consigliere
Depositata in Segreteria il 01 giugno 2016
< Prec. | Succ. > |
---|